Nessuno sconto, dall'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) è arrivata ieri una stangata senza precedenti che ha tramortito i mercati internazionali: gli Stati Uniti potranno imporre dazi per 7,5 miliardi di dollari sulle merci europee importate sul suolo americano come forma di compensazione per gli aiuti di Stato ottenuti dal consorzio aeronautico Airbus. L'Italia non ne ha mai fatto parte, ma trema lo stesso: dai macchinari ai farmaci, dai capi d'abbigliamento alla bevande e fino all'agroalimentare, con vini e formaggi soprattutto nel mirino, prodotti per un controvalore di 4,5 miliardi possono ora finire nella tagliola delle misure punitive. Il danno stimato è superiore al miliardo. Una tegola a nove zeri devastante per prodotti d'eccellenza, come per esempio il parmigiano, che rischiano di sparire dagli scaffali dei negozi Usa. Un disastro vero e proprio. Dalle parole del premier Giuseppe Conte («Confidiamo nell'attenzione dell'alleato Usa su alcune nostre produzioni strategiche») e da quelle del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio («Le nostre aziende devono potere avere certezze e tra queste c'è il rapporto commerciale con gli Usa. Noi non faremo sconti nel difendere le imprese italiane»), par di capire che il governo non sia uscito rassicurato dal colloquio avuto con Mike Pompeo: «Potremmo mettere dazi su vino e parmigiano», ha avvertito in serata il segretario di Stato Usa.
Poco sensibile alle sirene che gli ricordavano le origini italiane, Pompeo ha invece mostrato di conosce molto bene il latino do ut des: «Comprendo le vostre preoccupazioni, ma anche voi dovete tenere conto delle nostre richieste». Pretese che si sostanziano in maggiori investimenti nella difesa e quindi nel pieno appoggio al programma relativo agli F35.
Appare chiaro come Donald Trump non intenda far prigionieri: chi non sta dalla sua parte è un nemico da bastonare. L'Europa non porgerà l'altra guancia. Mentre la commissaria Ue al Commercio, Cecilia Malmstroem, ha ricordato all'America quanto sarebbe «miope e controproducente» applicare i dazi, Bruxelles è già pronta a introdurre misure di ritorsione contro Washington per 20 miliardi.
Così, la storia non sembra destinata all'happy end. Anzi. I mercati hanno infatti subito fiutato il sangue. Più che l'ennesimo capitolo nella «faida dei cieli» che contrappone da 15 anni Airbus a Boeing tra accuse reciproche di aver beneficiato di aiuti fuorilegge, a terrorizzare gli investitori è l'inasprimento dei rapporti commerciali, quel proliferare del tit-for-tat, ossia una specie di legge del taglione del terzo millennio. Le Borse, dopo la sentenza della Wto, sono infatti cadute come birilli colpiti da una palla carica di tritolo, rotolata fino a Wall Street (-2,2% a un'ora dalla chiusura) dopo essere piombata su Piazza Affari (-2,87%) e sull'intera Europa, dove l'indice Stoxx600 ha lasciato sul terreno il 2,6%. Un bollettino di guerra che è lo specchio di paure più che legittime: il mondo, nonostante l'azione di supporto delle principali banche centrali, è percorso da crescenti fremiti recessivi. E ora la situazione può precipitare. Perché tutti hanno ben chiaro un elementare rapporto di causa ed effetto: le rappresaglie a colpi di dazi non faranno altro che deteriorare il ciclo economico globale.
Può quindi stupire una sentenza che, proprio ora, finisce per incoraggiare i protezionismi. A patto però di non ricordare come la capacità di giudizio dell'organizzazione con sede a Ginevra risulti un po' compromessa dalla minaccia rivolta da Trump di abbandonare la Wto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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