Uno spezzone filmato dell'incontro fra il presidente francese Emmanuel Macron e il generale Khalifa Haftar a Berlino, la scorsa domenica, durante la Conferenza sulla Libia spiega, più di mille parole, come la grandeur continui a giocare una partita spregiudicata. Il furbetto Macron è seduto accanto ad Haftar e tamburella con le mani sui braccioli della poltrona visibilmente soddisfatto. Il generale, seduto accanto, sorride sotto i baffi.
Non è un caso che la Francia stia «ostacolando la pubblicazione di un comunicato congiunto dei Paesi occidentali di condanna della chiusura dei terminal e dei giacimenti di petrolio» in Libia da parte delle tribù fedeli all'uomo forte dela Cirenaica. La denuncia arriva da Ashraf Shah, consigliere del premier libico Fayez al Serraj, che l'ha postata ieri su Twitter. La nota internazionale, a cominciare dai Paesi europei, doveva intimare «la riapertura immediata» dei siti petroliferi bloccati nei giorni scorsi in Cirenaica e nel Fezzan, le due regioni libiche con gran parte dei giacimenti. Secondo il consigliere di Serraj, la Francia ha messo i bastoni fra le ruote e così «i Paesi emaneranno singolarmente dei comunicati esprimendo la loro posizione». Non a caso è arrivata la protesta degli Stati Uniti che vogliono lo sblocco immediato i pozzi e si è fatta viva la Farnesina esprimendo «forte preoccupazione per le azioni che hanno portato alla sospensione delle attività estrattive e dei terminal petroliferi in Libia». Indiscrezioni di stampa su accordi segreti fra Italia e Turchia per lo sfruttamento delle risorse off shore sono stati seccamente smentiti dal ministero degli Esteri.
Macron a Berlino ha fatto di tutto per sdoganare Haftar e in parte ci è riuscito costringendo in un angolo il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che, infastidito, se ne è andato in anticipo. Dopo il summit nella capitale tedesca l'Eliseo non ha mai citato il nodo del blocco dei pozzi, che faranno crollare la produzione da 1,1 milioni di barili di dicembre a 72mila. La mossa di Haftar danneggia anche l'Eni. Proprio nelle ore di Berlino le tribù della «rabbia del Fezzan», vicine al generale, hanno provocato la chiusura dell'oleodotto Hamada-Zawiya. Hamada è uno snodo per il giacimento di El Feel gestito con i libici dalla compagnia petrolifera italiana, che ha dovuto ridurre l'attività.
La Francia si muove a tutto campo e ieri la visita del ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, puntava a convincere il governo locale a non concedere le basi agli aerei turchi per operazioni in Libia.
Secondo il deputato leghista, Edoardo Rixi «il veto della Francia di Macron minaccia pesantemente la presenza di Eni in Libia, con il blocco agli oleodotti imposto da Haftar. La totale inconsistenza del governo Pd-M5s in politica estera sta consegnando il Mediterraneo a Francia e Germania. Conte batta un colpo e dia un segno di vita». Il presidente del Consiglio ha dichiarato che «sicuramente dobbiamo evitare azioni che mettano a repentaglio il recupero delle risorse energetiche. Sono azioni che possono alterare il clima non meno delle opzioni militari». Dal Qatar, dove si trova in visita, il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha chiesto «un supplemento di saggezza alla comunità internazionale».
Venerdì si riunirà il Comitato politico e di sicurezza a Bruxelles per lavorare sulla
folle idea di riesumare la missione navale Sophia, che è già stata fallimentare, per l'embargo sulle armi. Peccato che gran parte delle forniture belliche in Libia arrivino via terra dall'Egitto o con aerei da trasporto.
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