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Il libro nero del castrismo: mezzo milione di perseguitati

Gulag, omicidi politici, violazioni dei diritti umani: ecco la vera rivoluzione di Fidel in cinquant'anni di dittatura

Il libro nero del castrismo: mezzo milione di perseguitati

Gulag, omicidi politici, repressione e sistematiche violazioni dei diritti umani sono i capitoli del libro nero del comunismo cubano. Il mondo piange Fidel Castro, ma sembra dimenticare o mettere in secondo piano i lati oscuri di mezzo secolo di indiscusso potere.

All'annuncio della scomparsa del lider maximo, Amnesty international ha denunciato senza peli sulla lingua «la repressione sistematica delle libertà fondamentali» operata a Cuba durante il lungo regime di Fidel. «Nonostante i successi sul piano sociale, i 49 anni di regno di Castro sono stati caratterizzati da una repressione brutale della libertà di espressione» scrive Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty per le Americhe.

E la libertà d'espressione non è stato l'unico diritto violato a Cuba. Si stima che dalla vittoria della revolucion siano finiti in galera mezzo milione di cubani accusati a torto o ragione di non essere allineati con il regime marxista leninista. Su una popolazione di 11 milioni di abitanti la dittatura comunista dell'isola ribelle vanta uno dei più alti tassi di carcerazione politica del mondo. «Sono stato arrestato più di 50 volte nel 2015. La polizia mi ha rotto il naso e il timpano, ma dobbiamo mostrare la realtà di repressione in cui viviamo» aveva detto in marzo Antonio Rodiles uno dei leader dell'opposizione, alla vigilia della storica visita a Cuba del presidente americano Barack Obama.

Nel 1965, pochi anni dopo l'avvento al potere di Castro, si contavano 45mila prigionieri politici. Lo stesso Che Guevara, il suo compagno di lotte più famoso, ideò il gulag caraibico di Guanahacabibes. «Vi mandiamo coloro che hanno commesso reati contro la morale rivoluzionaria, sia gravi che lievi» affermava il leggendario Che in una riunione del Ministero dell'Industria nel 1962.

Durante il regime castrista sono finiti nel mirino anche gli omosessuali bollati con disprezzo maricones (finocchi, froci) e considerati espressione dei «valori decadenti della società borghese». I prigionieri politici sono stati per decenni costretti ai lavori forzati.

Fino al 2005, il Cuba archive Porject, dettagliato database della repressione a Cuba aveva registrato 9240 «morti politici». Almeno 5600 cubani non in linea sono stati giustiziati e le «esecuzioni extragiudiziali» documentate sarebbero circa 1.200. Il 20% della popolazione cubana vive all'estero e ben 78mila persone avrebbero perso la vita nel disperato tentativo di fuggire dal «paradiso» socialista dopo l'avvento della rivoluzione.

Solo quattro anni fa è morto in un sospetto incidente stradale, Oswaldo Paya, uno dei leader delle proteste democratiche. I familiari hanno sempre accusato gli agenti del governo cubano di averlo seguito buttandolo fuori strada. Altri pilastri della dissidenza nell'isola ribelle sono Guillermo Farinas, arrestato più volte, che ha compiuto 23 scioperi della fame contro il regime e Oscar Biscet, prigioniero di coscienza condannato a 25 anni e liberato nel 2011. Negli ultimi tempi di distensione con il resto del mondo per mantenere in piedi il regime, l'Avana ha fatto rilasciare ad ogni visita di un Papa o del presidente Obama e altri dignitari centinaia di prigionieri. L'obiettivo era dimostrare che tutto è cambiato. In realtà nel 2015 la Commissione cubana per i diritti umani ha denunciato 8.616 casi di detenzione arbitraria e 2500 nei primi due mesi di quest'anno.

Berta Soler, una delle fondatrici delle Damas de Blanco, che contestano coraggiosamente il sistema cubano ha dichiarato: «Veniamo repressi semplicemente per aver esercitato il nostro diritto alla libera espressione e per aver manifestato in modo non violento». Nel lungo regno di Fidel ci sono stati tanti casi emblematici. Uno dei più noti è quello del poeta Armando Valladares condannato a 30 anni e sottoposto a condizioni di detenzione inumane perché si rifiutava di sottoporsi alla «rieducazione» socialista.

Non è un caso che ieri l'ultimo dittatore stalinista, Kim Jong-un, leader supremo della Corea del nord, abbia espresso profonda tristezza per la scomparsa di Fidel ricordandolo per il «contributo eccezionale» al socialismo.

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