L'inchiesta sul petrolio ha prosciugato i pozzi. Indagato anche Lo Bello

Riflettori sulla "sguattera del Guatemala", ma l'impianto Eni bloccato dai pm perde 75mila barili al giorno. Il vicepresidente di Confindustria: "Chiarirò tutto"

L'inchiesta sul petrolio ha prosciugato i pozzi. Indagato anche Lo Bello

Mentre si discute su quale fosse la reale situazione sentimental-familiare tra l'ex ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi e l'imprenditore Gianluca Gemelli, mentre i giornali si soffermano sugli sfoghi di lei stufa di essere trattata dal compagno come una «sguattera del Guatemala» o sul corvo che distribuisce dossier ricchi di dettagli sulla presunta passione per i festini a bordo del capo di Stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi, descritto persino in sella ad un cavallo bianco ad aspettare gli ospiti di un cocktail sulla Vittorio Veneto in sosta a New York, si perdono di vista i reali effetti dell'inchiesta di Potenza sulle estrazioni di petrolio in Basilicata e sull'illecito smaltimento dei rifiuti.

Conseguenze pesanti sia in termini economici che di posti di lavoro. Soprattutto dopo la decisione del Tribunale del Riesame, arrivata ieri, di confermare il sequestro di due vasche del Centro Oli di Viggiano dell'Eni e del pozzo di reiniezione «Costa Molina 2» a Montemurro. Nei giorni scorsi la compagnia aveva presentato invano un'istanza di dissequestro nella quale garantiva di condurre le proprie attività nel rispetto dell'ambiente e della legge. Ora all'Eni non rimane che il ricorso in Cassazione, già annunciato. Nel frattempo, però, il centro oli di Viggiano sarà fermato del tutto. La produzione è sospesa dallo scorso 31 marzo, con la conseguente perdita di 75mila barili di greggio al giorno. Sono quasi 200 gli operai impiegati nel centro oli, altre migliaia nelle aziende dell'indotto. Con la conferma del sequestro e l'imminente stop, gran parte del personale rischia il posto. E potrebbero esserci conseguenze anche sulle attività della raffineria di Taranto, dove 1500 persone lavorano tra l'altro l'80% del greggio della Val D'Agri producendo carburanti per il Mezzogiorno.

L'inchiesta procede spedita anche su altri fronti. Nel registro degli indagati è finito il vicepresidente di Confindustria e presidente di Unioncamere Ivan Lo Bello, accusato di associazione per delinquere. Nell'associazione - costituita per assicurarsi il controllo di un pontile nel porto di Augusta e altri progetti di impianti energetici, permessi di ricerca e sistemi di difesa e sicurezza del territorio da attuare in Campania - Lo Bello avrebbe avuto il ruolo di «partecipante» insieme a Paolo Quinto, caposegreteria della senatrice Anna Finocchiaro, mentre Gemelli e il lobbista Nicola Colicchi sarebbero stati i «promotori». Lo Bello ha detto di aver appreso la notizia dell'indagine a suo carico dalla stampa e ha espresso fiducia nei confronti della magistratura: «Chiederò alla procura di Potenza di poter essere sentito quanto prima per chiarire ogni cosa». Nel filone che riguarda Augusta gli indagati, per turbata libertà del procedimento di scelta del contraente in relazione alla concessione demaniale del pontile, sono sette. Oltre a De Giorgi, Gemelli, Colicchi e Quinto, anche il contrammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, il commissario dell'Autorità portuale di Augusta, Alberto Cozzo, e Alfredo Leto, ad della società che si è aggiudicata la concessione demaniale del pontile. I magistrati, intanto, hanno rinunciato ad insistere con la richiesta di arresto per Gemelli.

Dalle ultime carte emerge che quando Colicchi e Quinto, considerati la «cerniera con il mondo politico», non riuscivano ad attivare in tempo i loro canali, toccava a Gemelli fare pressioni sulla Guidi, diventata secondo i pm «strumento inconsapevole» del clan.

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