«Al termine dei quattro giorni di presunto sequestro ottenemmo che cinque Paesi europei si suddividessero gli immigrati. Una cosa è certa: lo rifarei. E se gli italiani lo vorranno, lo rifarò. Sempre che non ci siano stranezze legate alla legge Severino». Più che i 15 anni di carcere che rischia per le accuse di abuso d'ufficio e sequestro di persona per il blocco della nave Gregoretti, nella sua intervista al Corriere in edicola ieri Matteo Salvini tradisce quello che è il suo vero timore, relativamente alla questione del voto della giunta per le autorizzazioni sulla richiesta arrivata dal tribunale dei ministri di Catania. E il timore, appunto, è rappresentato dalle possibili ricadute sul futuro politico del leader della Lega proprio rispetto alla legge Severino.
Nel merito, la questione non preoccupa l'ex ministro dell'Interno, che della chiusura dei porti (e del blocco delle navi) ha fatto, nel suo periodo alla guida del Viminale, una cifra stilistica, ed è certo dell'ampio consenso degli italiani intorno a quella strategia scelta e difesa fino alla fine. Anzi, come ribadito nell'intervista, Salvini rivendica ancora quella scelta e ne sottolinea l'effetto di «responsabilizzazione» dei partner europei, costretti dalla linea dura dell'allora ministro ad accogliere gli ospiti della nave e a farsi carico della questione. Il problema, dunque, è che in caso di condanna Salvini potrebbe dover affrontare, appunto, le «stranezze legate» alla legge che porta il nome del Guardasigilli del governo Monti e che stabilisce, tra l'altro, i casi di sospensione e incandidabilità per le cariche politiche.
Ne sa qualcosa Silvio Berlusconi, ma anche - soprattutto - il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Quest'ultimo, dopo la condanna in primo grado a un anno e tre mesi per abuso d'ufficio, legata a quando, da pm, aveva condotto l'inchiesta Why Not, era stato sospeso proprio per effetto della Severino. Che impone, appunto, la sospensione degli amministratori pubblici, se condannati anche se solo in primo grado, per un periodo «di almeno 18 mesi». Per De Magistris, che si vide respingere il ricorso arrivato alla Consulta dal Tar che lo aveva reintegrato, a evitare la sospensione arrivò la sentenza di assoluzione in appello. Quanto serviva perché quella decisione della Corte costituzionale non avesse più alcun effetto sul sindaco di Napoli.
In che modo la questione riguarda il leader leghista? Per Salvini, una eventuale condanna in primo grado non vorrebbe dire essere incandidabile, ma prevederebbe la sospensione in caso di elezione. Ed ecco dunque che quel riferimento tra le righe dell'intervista al Corriere evidenzia il vero timore del numero uno della Lega. Che teme che la trappola si materializzi grazie al combinato disposto tra una condanna in primo grado e quanto previsto dalla legge Severino. Che lo priverebbe degli effetti di una vittoria, costringendolo a finire sospeso - una volta eletto - subito dopo la chiamata al voto.
È questo l'effetto che il leader leghista teme di più nell'appuntamento del 20 gennaio, ed è per questo che il «tradimento» degli ex alleati - con l'annuncio del voto a favore dell'autorizzazione del M5s da parte di Di Maio - non soltanto lo indispettisce. Ma lo preoccupa.
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