Coronavirus

Dalla prima linea alle retrovie. ​Cosa succede dietro i Dpcm del governo

Il nuovo decreto rinviato. Conte che non lo presenta. Il protagonismo di Speranza. Ecco cosa è cambiato nel governo

Dalla prima linea alle retrovie. ​Cosa succede dietro i Dpcm del governo

Roberto Speranza oggi si espone, fa pesare la sua posizione all'interno (e fuori) dal governo, entra a gamba testa su dossier, come il calcio, che fino a ieri lasciava ad altri. Insomma, dice la sua su tutto. Tanto che, nelle ultime ore, la gestione dell’emergenza coronavirus sembra essere ad appannaggio del dicastero della Salute. È cosa buona e giusta, penserete. Certo. Ma non è stato sempre così. Riavvolgendo il nastro della pandemia italiana, infatti, l'esponente di Leu appare e scompare dal palco più e più volte, così come il suo ministero. All'inizio in prima linea, poi oscurato dall'onnipresente Giuseppe Conte, infine nuovamente centrale. Una gestione a singhiozzo che ha finito per incidere sulla strategia adottata dall'esecutivo per combattere il morbo. E che continua ad influenzare decreti e Dpcm che in queste ore vengono varati.

Alla fine di gennaio, quando il coronavirus per gli italiani è solo un accidente lontano, il governo si preoccupa principalmente di andare recuperare i connazionali che vivono a Wuhan. L'obiettivo è arginare, ma senza crederci troppo. Al ministero della Salute viene sì elaborato un piano per bloccare i voli dalla Cina, ma a nessuno viene in mente che possa essere aggirato con uno scalo qualsiasi in un altro aeroporto non italiano. E, mentre tocca al suo vice Pierpaolo Sileri salire su un volo per andare in Cina, Speranza emana una raffica di circolari che, a distanza di pochi giorni, non dicono mai la stessa cosa e finiscono solo per generare confusione in chi le legge. È lui insomma a gestire la pratica. Anche quando a Roma vengono scovati due turisti cinesi positivi, il ministero gioca da protagonista e i primi decreti per Codogno e Vo’ portano tutti la firma di Speranza. Poi, però, qualcosa si inceppa.

Giuseppe Conte

Speranza pian piano inizia a sparire. Quando il 31 gennaio viene dichiarato lo Stato di emergenza, Conte decide di nominare un commissario cui delegare poteri speciali e diretti. Come ricostruito nel Libro nero del Coronavirus: retroscena e segreti della pandemia che ha sconvolto l’Italia (clicca qui), tutti si aspettano che il ruolo venga affidato al ministero della Salute o perlmeno ad un suo uomo. In fondo è lui ad aver gestito il dossier Wuhan, almeno fino a qualche giorno prima. Invece Palazzo Chigi fa ricadere la scelta (infelice) sul capo della Protezione civile, Angelo Borrelli: persona capace, ma inesperta in ambito medico e sanitario. Perché? "Credo che il ministro non abbia mai voluto fare il commissario - ammetterà Sileri con una punta di amarezza - non è nel suo carattere...".

Conte e Speranza

E infatti nella prima fase dell’epidemia, quando è ormai chiaro che il virus è sfuggito di mano, Speranza finisce sempre più nell'ombra. Quando i piddì Zingaretti, Gori e Sala premono per far “ripartire” il Paese e fanno aperitivi, col suo silenzio opta per un profilo prudenziale. Quando si incrinano i rapporti con le Regioni e l'esecutivo si scorna con il Pirellone e la Regione Marche, lui preferisce mantenere rapporti distesi con i governatori. Intanto però la sua influenza sulla strategia del governo si riduce notevolmente. Ad una riunione con i vertici lombardi, che chiedono la zona rossa ad Alzano e Nembro, Speranza si fa scappare una frase che, letta oggi, suona incredibile: "Appena rientro a Roma, provo…". Come a dire: non ho la forza politica per impormi in Consiglio dei ministri.

In quei giorni infatti il palcoscenico viene occupato dall’ingombrante Conte che gira tutte le tv per presentare Dpcm e provare a rassicurare gli italiani. Ottiene l'effetto contrario, come noto: basti pensare alla tragica notte del 7 marzo, quando la fuga delle bozze fa scappare verso le regioni del Sud migliaia di fuorisede che vivono in Lombardia. Nonostante i passi falsi, però, Palazzo Chigi dilaga. Un po’ di spazio lo conserva il rappresentante dell'Italia nel cda dell'Oms, Walter Ricciardi, nominato consigliere del ministero della Salute per l'emergenza Covid-19, che va in tv un giorno si e l'altro pure. Ma Speranza no: lui finisce nell'angolo.

Prelievo di un tampone

Il ministro torna a farsi vivo alcuni mesi dopo, con l'estate alle porte e il lockdwon alle spalle. Predica prudenza. Contesta le riaperture troppo eccessive. Quando ad agosto il ministero dei Trasporti autorizza i treni a viaggiare a piena capienza, lui s’infuria e pubblica un'ordinanza per ribadire l’obbligo al distanziamento. Insomma: si fa spazio gradualmente. Conte intanto abbandona pian piano il palcoscenico e libera un po’ di spazio mediatico: non presenta più i dpcm in diretta tv; scompare quasi dai radar; non va in Parlamento a presentare i decreti sull'emergenza. E così Speranza torna a trovarsi in pole position, influenzando le scelte politiche. E i nuovi provvedimenti.

È in questo scenario che nasce l’ultimo, caotico, atto governativo sull'obbligo di mascherine all’aperto. Il decreto è infatti il prodotto di questo misterioso andirivieni tra avamposti e retrovie, questo braccio di ferro tra ministeri che ha segnato il dietro le quinte della politica romana nell'era Covid.

E che ancora infuenza le scelte del governo.

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