Il Lingotto vale più di Gm e di Ford grazie a un miliardo di profitti all'anno

Capitalizzazione sestuplicata dal convertendo all'ultimo business plan

Il Lingotto vale più di Gm e di Ford grazie a un miliardo di profitti all'anno

Da un Pietro Badoglio destinato - per molti - a firmare la resa, è diventato un Quintino Sella capace di sistemare i conti del gruppo automobilistico torinese. La Fiat di Sergio Marchionne è nata sulla base del patto siglato con gli Agnelli: non più un solo euro da investire nel Lingotto in cambio di mano libera su tutto.

Chi ha scommesso in Borsa sul manager italo-canadese ha fatto bene? La società ha staccato poche cedole ma i risparmiatori che hanno investito un euro sulla Fiat quando Marchionne si è seduto al volante il 1 giugno 2004 ora se ne ritrovano in tasca più di sei. Nel 2004 la Fiat valeva in Piazza Affari 4,4 miliardi. Oggi Fca capitalizza 25,4 miliardi. Se si sommano anche Ferrari e Cnh (entrambe controllate dalla cassaforte degli Agnelli, Exor) arriviamo a 65 miliardi mentre General Motors si ferma a 54 miliardi, Ford a 42, Peugeot e Renault a una ventina. E considerando anche il prestito convertendo da 3 miliardi più l'altra conversione di azioni legata allo scorporo della Ferrari per quotarla in Borsa (2,5 miliardi), il valore del Lingotto nel suo complesso è aumentato di oltre sei volte. Solo nell'ultimo anno Fca ha messo a segno un rialzo del 57,2% attestandosi a 16,4 euro.

Come è riuscito a ridare giri al motore? Al momento del suo arrivo, Marchionne trova nei bilanci della Fiat 22 miliardi di debiti finanziari: la famiglia aveva tirato fuori 250 milioni per ricapitalizzare la finanziaria in cima all'impero che attraverso la struttura di controllo faceva arrivare 1,8 miliardi al gruppo automobilistico. Altri 6,7 miliardi erano stati fatti entrare nelle casse del Lingotto vendendo gioielli come le assicurazioni Toro, Avio e Fidis. Il gruppo perdeva più di 2 milioni di euro al giorno e la sopravvivenza era garantita solo dalla finanza concessa dalle banche con il convertendo da 3 miliardi del 2002. Quindici anni dopo, Fca può contare un 125 miliardi di ricavi, un utile netto di circa 5 miliardi e soprattutto zero debiti. In quattordici bilanci firmati da lui, ha generato oltre 15 miliardi di profitti, un miliardo all'anno.

Decisiva è stata la trattativa con General Motors nel 2005 ha portato nelle casse di Torino 1,55 miliardi di euro, poi è arrivata la conquista di Chrysler favorita dal cambio di strategia avviato nel 2010 quando Marchionne decide di separare l'auto da camion e macchine agricole portando sul mercato due holding quotate. Schema poi in parte riproposto con Ferrari e ora con Magneti Marelli. A Wall Street e in Piazza Affari va una quota minoritaria, il 10%, della Casa di Maranello, perché l'80% resta ai soci Exor, la holding degli Agnelli, e il restante 10% a Piero Ferrari, figlio di Enzo. Il Cavallino ha debuttato il 4 gennaio del 2016 a quota 52 euro per poi scendere intorno ai 40 e salire nell'ultimo anno del 42,2% fino agli attuali 119,8 euro.

Sergio Marchionne lascia in eredità un piano industriale al 2022 solido e l'opzione polo del lusso come asso nella manica. L'aggettivo più ricorrente tra quelli usati dagli analisti per definire l'ultimo business plan, non a caso, è stato solido.

Capace di garantire una «ulteriore creazione di valore per gli azionisti». Per presentarlo, a giugno, Marchionne ha scelto una frase di Hemingway: «Non c'è nulla di nobile nell'essere superiore a qualcun altro, la vera nobiltà è essere superiore a chi eravamo ieri».

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