Coronavirus

L'inspiegabile ossessione del governo: nascondere agli italiani i dati sul contagio

C'è un elemento che accomuna la prima e la seconda ondata Covid: la reticenza con cui il premier Conte comunica i numeri reali del virus

L'inspiegabile ossessione del governo: nascondere agli italiani i dati sul contagio

Tra prima e seconda ondata del virus un tratto comune c'è: l'ossessione del governo per la segretezza. In primavera ci volle un ricorso della Fondazione Einaudi per costringere Palazzo Chigi a tirare fuori i verbali del Comitato tecnico scientifico. Ora è in corso una sollevazione trasversale per chiedere che i numeri del contagio siano resi trasparenti e comunicati alla comunità scientifica.

La lista di chi prende posizione è sempre più lunga: Accademia dei Lincei, Associazione Luca Coscioni, Fondazione Hume, Fondazione Gimbe, Associazione Ondata e Associazione 150, di cui fa parte il virologo Andrea Crisanti. Le richieste sono analoghe: adottare il metodo degli open data. «Le parole chiave sono tre - spiega Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Coscioni che si batte per il diritto alla salute - i dati sul contagio siano pubblici, in formato aperto e disaggregati».

Ma il governo continua ad alzare cortine fumogene. «I 21 criteri sono chiari e i dati sono aperti a tutti sul sito dell'Agenas», assicurava in tv giovedì sera la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa. Ma basta un'occhiata sul sito dell'Agenzia nazionale per la salute per capire che non diceva la verità: il Rapporto Covid 19 comprende solo un paio dei 21 criteri, il numero dei posti letto e dei ricoverati, è in formato pdf e non excel, quindi non può essere direttamente rielaborato dagli scienziati per studiarlo ma andrebbe ricopiato, operazione che rende impossibili analisi frequenti, e i dati sono aggregati per regioni, mentre servirebbero numeri puntuali.

«Quando un cittadino entra in contatto con le autorità sanitarie -spiega Cappato- si possono raccogliere dati fondamentali su chi è, che lavoro fa, che mezzi pubblici prende. Dati che l'Istituto superiore di sanità da solo non ha modo di elaborare in modo costante ma, se fossero messi a disposizione nel modo giusto, potrebbero essere studiati da istituzioni scientifiche e università di tutta Italia e nel mondo».

Si potrebbe arrivare a scoprire ad esempio in quali ambienti ci si contagia di più e in quali modi e così scegliere di imporre restrizioni più mirate ed efficaci e meno invasive.

La Fondazione Hume ha raccolto su una petizione che chiede di cambiare rotta nella gestione dell'emergenza, mettendo al centro la questione dei dati, ben 25mila firme. Con adesioni politiche bipartisan: tra gli altri Mariastella Gelmini, Gianni Cuperlo e Carlo Calenda. «Mancano i dati sugli ingressi in terapia intensiva, ora diffusi solo nella forma di saldo tra ingressi e uscite -di Luca Ricolfi, presidente della fondazione Hume- ed è incredibile che non esistano dati dei contagi su base comunale»

«C'è anche una questione di principio -argomenta Andrea Borruso, presidente di Ondata ed esperto di rilevazione e trattamento dei dati- se prendi decisioni su di me fammi vedere su cosa basi le decisioni».

Il sospetto è che l'opacità dei dati nasconda retroscena poco commendevoli. Con meno dati a disposizione è più difficile per l'opposizione fare proposte e smascherare eventuali errori. «Temo purtroppo che ci sia anche questo movente», conclude amaro Ricolfi, che stigmatizza le dichiarazioni della sottosegretaria Zampa: «In tv a 8 e mezzo incalzata da Stefano Feltri lo ha accusato di non essere informato ma è stata lei a sostenere cose non vere. Noi chiediamo trasparenza da mesi e ci hanno opposto problemi di privacy: è chiaramente una scusa».

Eppure presentando l'ultimo Dpcm Giuseppe Conte aveva promesso di «rendere pubblici i dati e condividerli con la comunità scientifica». A tal proposito, ieri è arrivata la notizia di un accordo tra Accademia dei Lincei e Istituto superiore di sanità. «Che però è il contrario della condivisione con la comunità scientifica -accusa Cappato- così si comunicano i dati solo a un partner privilegiato, pur prestigioso come i Lincei, evitando che ripeta le accuse di mancata trasparenza come aveva fatto il presidente dell'Accademia in un servizio delle Iene».

Dividi (gli scienziati) et impera.

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