L'ipoteca del governo sulla nuova accoglienza Il piano? Vale tre anni

Il programma Sprar rinnovato per il 2018-2020 Il futuro esecutivo si troverà con le mani legate

Foto d'archivio
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P er togliersi dall'evidente impaccio che il prossimo governo possa modificare appena possibile i vincoli di erogazione delle risorse finanziarie destinate ai progetti di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, il ministro dell'Interno Marco Minniti ha ritenuto congeniale vincolare spese e progetti almeno per i prossimi tre anni. Ovvero da qui al 31 dicembre 2020. In poche parole una sorta di ipoteca sulla gestione dei cosiddetti Sprar, i servizi di protezione per gli immigrati, che il governo in scadenza ha stabilito per decreto. Vale a dire che solo a partire da gennaio 2021 si potrà rivedere il finanziamento sugli ultimi progetti di integrazione, inclusione e inserimento lavorativo che i comuni coinvolti hanno presentato e per i quali hanno ottenuto ben 50 milioni in più all'anno.

Si tratta di nuove risorse, rese disponibili nell'ultima legge di bilancio sulla base di quanto in precedenza, con cadenza espressamente annuale, era stato destinato all'accoglienza diffusa, ovvero quella sui territorio delle piccole comunità, delle reti costituite dai comuni minori e consorziati tra loro. Già, perché bisogna precisare che da quando il modello Sprar è stato avviato, ossia a partire dal 2002 con un impatto su 120 comuni coinvolti e poche migliaia di beneficiari stranieri, i progetti venivano valutati e finanziati solo annualmente. Nessuna deroga. A oggi i comuni che, sull'intero territorio nazionale, accolgono sono circa 3mila sugli 8mila complessivi e, per quest'ultima tranche di progetti scaduti, il titolare del Viminale ha firmato un apposito decreto per elargire ad altri 171 comuni una cifra pari al 90 per cento dell'intero costo del programma. Inoltre sempre in questa circostanza sono stati approvati anche gli ampliamenti per la capacità di accoglienza per ulteriori 1423 posti in altri 46 territori. Pari a una spesa aggiuntiva di altri 20 milioni l'anno. Ma la soglia del dispendio non si ferma a questi conteggi.

Vale la pena ricordare a questo punto che è stato lo stesso Minniti a incrementare, ad agosto scorso, il contributo che spetta ai comuni per ogni immigrato ospitato nello Sprar: da 500 a 700 euro. Soldi che piovono nelle casse degli enti locali liberi da vincoli e che valgono un bel gruzzolo (attorno a 35 milioni) considerando che gli immigrati interessati, a oggi, sono circa 50mila. Ma volendo esplicitare la tipologia dello straniero inserito nei progetti di protezione al fine favorirne il percorso di integrazione e una propria autonomia ci si rende conto che solo una piccola percentuale di costoro è in possesso del titolo di rifugiato, la maggioranza ha richiesto l'asilo e potrà vederselo anche rifiutare perché senza i dovuti requisiti. Altrettanti godono invece della cosiddetta protezione umanitaria che viene accordata per raccomandazione alla prefettura da parte della commissione territoriale. Già, ma se questa forma residuale di protezione, venisse stralciata dall'ordinamento italiano esattamente come prevede il piano immigrazione di Forza Italia, oltre ai centri di accoglienza straordinaria si svuoterebbero anche gli Sprar e parecchi dei beneficiari andrebbero rispediti a casa propria. Inevitabile considerare la ricaduta positiva: migliore accoglienza per chi resta, migliore integrazione e soprattutto maggiore possibilità di inserimento sociale e lavorativo.

Eppure lo Sprar così malamente organizzato andrà avanti per altri tre anni e qualsiasi governo uscirà dalle urne continuerà ad elargire fino al 2020 ben 5,2 milioni di euro al Consorzio grossetano, altri 2,6 al Consorzio cuneese e 1,2 milioni all'anno al comune di Campobasso solo per citarne alcuni.

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