Stupore, sconcerto. E anche una certa dose di irritazione perché, dice, «il ruolo del Parlamento va rispettato» e non sfregiato. Sergio Mattarella è a Palermo, dove passerà il Natale in famiglia e dove spera di ricaricare le pile. Ma quelle scene dell'altra sera a Palazzo Madama non le ha ancora digerite. Quel Senato nel caos, umiliato, costretto a votare al buio la manovra, a premere il tasto elettronico a notte fonda senza aver nemmeno il tempo di leggere i provvedimenti. Quella maggioranza che esulta come se avesse preso la Bastiglia, quell'opposizione zittita. E quelle clausole di salvaguardia da oltre venti miliardi che zavorrano il futuro del Paese. No, dicono sul Colle, così non va.
Uno schiaffo alle Camere? Forse anche al Quirinale. Infatti soltanto pochi giorni prima - mercoledì scorso, non due mesi fa - il capo dello Stato, ricevendo nel Salone dei Corazzieri le alte cariche della Repubblica per lo scambio di auguri natalizi, aveva invitato governo e maggioranza a «garantire il pluralismo», a non esagerare, a tenere nel giusto conto le prerogative delle Camere. «Al Parlamento - queste le parole di Mattarella espressione e interprete della sovranità popolare, è affidato il ruolo centrale nella democrazia disegnata dalla Costituzione. Ruolo che contrassegna ogni democrazia parlamentare e che va rispettato e preservato per non alterare l'essenza di ciò che la nostra Carta definisce e prescrive».
Dunque, il discorso è chiaro: secondo il presidente, chi non rispetta le Camere non rispetta l'architrave portante della nostra democrazia. Frasi solenni, volutamente forti, ma Mattarella non ne può più dei maxi-emendamenti, delle troppe votazioni di fiducia, e vorrebbe mettere un freno alla riduzione degli spazi parlamentari. E certo non gli può piacere la riforma a cui sta lavorando il ministro Riccardo Fraccaro, M5s, che vorrebbe sviluppare la democrazia diretta e dei social network perché «molti deputati e senatori sono inutili».
E sabato notte c'è stata una rappresentazione plastica, quasi un'anteprima profetica dell'«inutilità» dei parlamentari, costretti a discutere e a votare prima una scatola vuota e poi a scatola chiusa. Lo stesso accadrà con il capo dello Stato. Salvo nuovi rinvii, la Finanziaria arriverà infatti a Montecitorio il 28 in seconda lettura per poi essere rivotata il 29. A quel punto gli uffici del Quirinale avranno poco più di ventiquattro ore per esaminare il malloppo e presentarlo alla firma del presidente. Una firma obbligata, quasi al buio, appena in tempo prima dello scadere della fine dell'anno.
Una corsa contro i minuti, per evitare l'esercizio provvisorio di bilancio, lo scatto delle vecchie clausole di salvaguardia, l'aumento dell'Iva per 16 miliardi e la caduta del governo. Una fretta di cui non ci sarebbe stato alcun bisogno, se il governo avesse ascoltato prima i suggerimenti del Colle e non avesse buttato due mesi nello scontro, poi perso, con l'Unione Europea. Mattarella, che ha mediato molto con Bruxelles, ha lodato «il dialogo costruttivo con la Commissione Ue».
Una scelta saggia, obbligata dalle circostanze, però tardiva. Risultato, una manovra affannata e sul filo di lana, piena di errori. Sui contenuti il capo dello Stato non si esprime. Ma la baraonda al Senato, quella non gli è andata giù.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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