RomaNon è più possibile liquidare segnali che arrivano dal mercato del lavoro come colpi di coda della crisi. Né - come fa Matteo Renzi - ignorarli. Tanto meno quelli che ha diffuso ieri l'Istat, visto che si riferiscono a mesi in cui erano in vigore entrambe le principali misure pro occupazione dell'esecutivo: la decontribuzione per le nuove assunzioni e il Jobs Act.
A marzo, primo mese di vigenza dei nuovi contratti a tutele crescenti, la disoccupazione è salita di altri 0,2 punti percentuali, arrivando al 13,0%. Dato di poco inferiore a quello del novembre scorso. Come dire, l'Italia si è rimangiata i risicatissimi risultati dei mesi precedenti.
Tra febbraio e marzo non c'è stato il boost che ci si aspettava dall'entrata in vigore dei nuovi contratti che, di fatto, rendono molto più facile la mobilità in uscita (leggi i licenziamenti).
Al contrario, i senza lavoro sono aumentati. A marzo le persone in cerca di occupazione erano 3,3 milioni, in aumento dell'1,6% rispetto a febbraio. Nello stesso mese gli occupati sono 22,2 milioni, in calo dello 0,3%. Tutto in un solo mese, quello delle grandi attese sul Jobs Act.
Rispetto all'anno scorso il numero di disoccupati è cresciuto del 4,4% (+138mila) e il tasso di disoccupazione di 0,5 punti. Nello stesso periodo il numero degli inattivi è calato di pochissimo, appena lo 0,1%. Tradotto: quella rilevata ieri è vera disoccupazione e non la conseguenza del fatto che ci sono più persone che cercano lavoro.
I ragazzi dovrebbero incassare il dividendo maggiore delle riforme del rottamatore Renzi? Tutto il contrario, la disoccupazione giovanile a marzo è risalita al 43,1%, rispetto al 42,8% di febbraio. In questo caso il dato è in parte dovuto al fatto che molti 15-24enni hanno deciso di cercare un impiego (gli inattivi sono calati dello 0,3%). Ma resta il fatto che nella maggior parte dei casi non hanno trovato niente.
I giovani disoccupati «hanno superato il Pd», era uno dei commenti ironici comparsi ieri su Twitter , con un riferimento al risultato super di Matteo Renzi delle elezioni europee. Il sito di economisti che fa capo all'attuale presidente dell'Inps Tito Boeri Lavoce.info , ha commentato citando l'economista Keynes: «Si può portare il cavallo alla fontana, ma non lo si può convincere a bere». Visti alla luce delle riforme renziane, questi dati sono «un'ecatombe», ha scritto l'economista Pietro Garibaldi, che peraltro era e resta a favore delle leggi sul lavoro dell'esecutivo in carica.
Persino dietro il commento tecnico dell'Istat, sembra di leggere un giudizio politico negativo sullo stato dell'economia italiana, vista l'assenza di miglioramenti significativi nei primi mesi dell'anno.
Evidenza statistica della crisi continua che sta devastando il mercato del lavoro, che cade proprio alla vigilia del Primo maggio. E sulla quale il governo non ha trovato di meglio che glissare. I dati, per il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, «vanno letti in un quadro complessivo dove segnali positivi si incrociano con elementi di criticità». L'uscita dalla crisi «è sempre all'insegna di alti e bassi».
Silenzio da Palazzo Chigi. Forse il premier è impegnato nella legge elettorale. Oppure, più probabilmente, imbarazzato.
Perché per marzo non erano affatto previsti dati da «uscita lenta dalla crisi». Nell'agenda di Palazzo Chigi era programmato il festeggiamento per la ripresa del lavoro, grazie alle riforme. Festa rinviata. Nella migliore delle ipotesi.