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L'Italia e la farsa del governo: metà col dittatore, metà contro

La Farnesina tentenna: "Si lavori per il compromesso"

L'Italia e la farsa del governo: metà col dittatore, metà contro

D'accordo su niente. Tantomeno sul Venezuela. Le due anime del governo, sempre più spesso allineate su trincee diverse a seconda dell'appartenenza politica, sono spaccate anche nella valutazione della crisi venezuelana tra Maduro e Guaidò. Così tanto che l'Italia è praticamente l'unica non solo a non sostenere il presidente dell'Assemblea nazionale che si oppone al regime di Nicolàs Maduro e al chavismo. Conseguenza inevitabile delle contrapposizioni interne all'esecutivo, con i Cinque Stelle più o meno apertamente schierati a favore dell'ex vice di Hugo Chávez, tanto da essersi in molti espressi contro il tentato «golpe eterosostenuto» e aver espresso preoccupazione per «il rischio di una deriva violenta», allineandosi più o meno sulla posizione della Russia.

Salvini e la Lega, come è noto, sono invece dalla parte di Guaidò senza se e senza ma, nonostante i buoni rapporti del leader del Carroccio con Putin, e chiedono nuove e libere elezioni per il Venezuela, pur sperando in una «soluzione non violenta». Due punti di vista praticamente inconciliabili, che fanno il verso al braccio di ferro a distanza tra Usa e Russia, che è a sua volta un'eco della Guerra fredda che fu. E di gelo, nel governo, tra le componenti gialla e verde ce n'è da tempo. Quello sulla soluzione da auspicare a Caracas dopo l'escalation degli ultimi giorni è solo l'ultimo in ordine di tempo. Che, nel caso di specie, ha fatto dell'Italia l'unico Paese del G7 che non ha riconosciuto come legittima la presidenza di Guaidò.

A tentare una sintesi, e ad abbozzare una presa di posizione italiana sulla situazione nel Paese sudamericano, è stato ieri il titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanesi. Che ha «auspicato» che proprio Usa e Russia «esercitino una funzione pacificatrice» per cercare di raggiungere «un accordo di compromesso tra le parti che deve portare alla concessione di nuove elezioni presidenziali». Sì al voto, dunque, anche secondo il ministro degli Esteri. Che però resta equidistante tra Guaidò e Maduro (e tra Russia e Stati Uniti). Spiegando appunto che «per noi, per l'Italia, è fondamentale che si evitino delle escalation di carattere militare che avrebbero soltanto degli effetti terribili sulla popolazione». L'invito, dunque, è alla «moderazione», che Moavero esercita egli stesso insieme alla diplomazia, riuscendo a stigmatizzare ogni soluzione «militare» sia che avvenga «col contributo di forze interne al Paese», sia tramite «influenze esterne». E sempre il capo delle nostre feluche ricorda poi come il governo italiano non riconosca né Maduro (negando legittimità alle ultime elezioni presidenziali) né Guaidò come «capo provvisorio», avendo preferito tenere «una linea di maggior prudenza», evitando «di anteporre protagonisti ed antagonisti» per risolvere la questione.

Prudenza, insomma.

Una soluzione ideale, forse l'unica a dirla tutta, per evitare, anche all'interno del governo, di dover affrontare la questione «anteponendo» protagonisi e antagonisti dei due fronti opposti.

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