"L'Italia non può legalizzare i matrimoni della sharia"

L'avvocato Gassani: "Grave errore del giudice di Napoli che ha riconosciuto nozze combinate in Arabia. La Procura, però, potrà fare ricorso. E vincere"

"L'Italia non può legalizzare i matrimoni della sharia"

Roma - Avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell'Associazione nazionale matrimonialisti italiani, che cosa pensa della sentenza del tribunale civile di Napoli che ha riconosciuto un matrimonio in cui, seguendo la legge islamica, un saudita residente in Italia ha «comprato» con mila dollari di dote una moglie somala, che neppure conosceva?

«Mi sembra un errore, un fatto grave, perché è chiaro che nel nostro Paese non può essere riconosciuto un matrimonio simulato e questo sembra proprio che abbia queste caratteristiche».

Tra Yusuf e Osman pare che piuttosto sia avvenuta una transazione commerciale, per mezzo di un intermediario. Ma il giudice scrive che «in assenza di elementi probatori che con certezza dimostrino la non autenticità del documento in parola, deve reputarsi che il rapporto di coniugio nel caso trovi fondamento».

«La sentenza per questo è sbagliata, ma sicuramente la procura di Napoli potrà impugnarla e ricorrere in Appello, poi anche in Cassazione. Dunque, la partita è ancora da giocare, non è affatto chiusa».

C'è il timore, però, che questa decisione possa apparire come un preoccupante precedente, quasi l'introduzione della sharia nel nostro Paese.

«Si tratta solo di un giudice monocratico e una rondine non fa primavera. Se, come sembra, ci sono i presupposti, ci sarà un nuovo procedimento e la sentenza sarà corretta in futuro».

Il ministero degli Esteri si era opposto al ricongiungimento familiare perché Osman avrebbe confessato ai funzionari che il matrimonio non si sarebbe celebrato, il marito non sarebbe stato neanche presente a Jedda, né avrebbe rilasciato alcuna delega e ad officiarlo sarebbe stato un operaio senza alcuna autorità.

«Di fronte ad una confessione così grave e ad elementi contrastanti, il Tribunale avrebbe dovuto convocare la donna e, in caso di impossibilità ad ascoltarla, avrebbe dovuto sospendere il giudizio, perché non aveva elementi sufficienti per pronunciarsi. Credo si tratti di un mero errore tecnico che sarà riparato».

Questo matrimonio, secondo la legge islamica, prevede anche il ripudio da parte del marito.

«In Italia il ripudio non può esistere e certo la trascrizione non può sdoganarlo, visto che contrasta con i principi imperativi del nostro ordinamento e della nostra Costituzione. Da noi esiste il divorzio, per sciogliere il matrimonio secondo un regolare procedimento, che può essere richiesto da ambo le parti e non possiamo tutelare altri istituti che sono contrari alle nostre leggi. In Italia, insomma, non può essere riconosciuto il ripudio come alternativa al divorzio, né una sentenza può introdurlo nel nostro ordinamento».

Il consolato ha negato alla donna il visto di ingresso in Italia per 2 anni e Yusuf ha chiesto anche il risarcimento del danno, ma questo è stato negato dal giudice perché «non sembra nella fattispecie ricorrente alcuna ipotesi di dolo o colpa grave». C'è anche il rischio che un suo collega lo riconosca?

«Credo che questa richiesta non potrà avere accoglimento neppure in futuro».

Quanto è difficile disciplinare il riconoscimento in Italia di nozze avvenute nei paesi islamici?

«Certo, oggi c'è una sorta di apertura verso il riconoscimento di matrimoni islamici, per consentire il ricongiungimento

familiare, ma non tutte le sentenze seguono o devono seguire il diritto straniero. Rimane innanzitutto il rispetto dei nostri principi giuridici, a cominciare dall'articolo 3 della Costituzione sull'uguaglianza dei cittadini».

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