L'Italia perdente resta la solita patria dell'"embè"

L'Italia perdente resta la solita  patria dell'"embè"

Alla fine gli italiani, per indole, trovano sempre più conveniente perdere che vincere. Siamo un popolo che sogna i plebisciti e le marce trionfali, ma che si accontenta di cascare in piedi dopo le immancabili disfatte frutto di improvvisazione o cialtroneria.

Siamo bravi a mediare, a fare sedere tutti al tavolo. A Roma lo spoil system americano è solo di facciata: nessuno resta mai senza una poltrona o una fettina di potere da esercitare, anche quando vincono gli avversari. E finché non avvengono fatti traumatici, la vita continua tra accomodamenti e sospiri di rassegnazione. Siamo il Paese dell'«embè», delle braccia allargate, dell'abbiamo fatto tutto il possibile. Poi arriva la catastrofe epica, da una storica sconfitta militare alla penosa esclusione dai mondiali di calcio.

E allora, contro natura, siamo obbligati a puntare il dito, a chiedere il sovvertimento di un sistema dove, a parte i comuni cittadini fuori dai giochi, il Palazzo e il sottopalazzo tutto sommato non campano poi così male. Diventa l'occasione d'oro per fare in un pomeriggio quello che non si è riusciti a realizzare in anni. E il carburante non è mai rappresentato dalla volontà di pianificare un futuro degno di una grande nazione, ma dall'indignazione popolare che di colpo si orienta verso i Tavecchio, i Malagò, gli Uva e altri oscuri mandarini della casta sportiva.

Se proprio ci tirano per i capelli, noi italiani siamo i veri campioni del mondo nel trarre vantaggi da una figuraccia. Si invoca il rinnovamento, l'epurazione, la gogna per chi ha fallito. Così chi ha goduto più degli altri, rompendo un tacito patto sociale, può uscire di scena senza andare in esilio a Sant'Elena ma con un milione di euro in tasca come lo sciagurato commissario tecnico Ventura. E chi aveva perso un turno nel giro precedente adesso si vede spalancate le porte per un ritorno clamoroso, al grido irresistibile «io l'avevo detto».

Nel 1866 a Custoza il capro espiatorio della nuova Italia unita fu il generale Lamarmora. Dopo Caporetto nel 1917 saltò il «generalissimo» Cadorna. Il dramma della seconda guerra mondiale portò al linciaggio di Mussolini e alla cacciata dei Savoia. Certo, fa sorridere paragonare la notte novembrina di San Siro ai più grandi drammi nazionali dell'epoca moderna. Ma i meccanismi collettivi di reazione sono sempre i medesimi. Indigniamoci, facciamo qualcosa, la gente ci guarda. E poi tutto resterà come prima. Via Ventura che è inadeguato, via Barzagli che ha quasi 37 anni, via Buffon. Proprio Buffon, l'unico capitano dell'esercito italiano ad aver trionfato a Berlino (2006), divenuto emblema della vecchia guardia da epurare.

Ma sì dai, il tempo passa e i ricordi si faranno sempre più sbiaditi. Buffon è già stato dimenticato come campione del mondo: ora è quel signore saggio non giovanissimo con la barba sfatta e il viso rugoso che sta con quella conduttrice tv. Come si chiama, dai?

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