L'Italia di Renzi è sempre più in crisi

L'Ocse certifica il crollo: rispetto al 2007 i guadagni pro capite hanno perso altri 7 punti rispetto alla media europea

RomaSempre meno produttività, reddito pro capite che scivola verso il terzo mondo. All'interno del Paese, poi, aumenta il divario Nord-Sud. Le riforme avviate dal governo andrebbero anche bene, ma in generale gli sforzi per incidere sui problemi strutturali negli ultimi due anni si sono attenuati. Più che una mezza promozione (o mezza bocciatura), quella di ieri dell'Ocse sembra il solito giudizio sull'Italia, tanto ambiziosa negli annunci quando povera nei risultati. Sia dalla pagella sulle riforme diffusa ieri dall'organizzazione di Parigi, sia dai dati pubblicati a breve distanza da Istat e Banca d'Italia, emerge un Paese ancora in crisi e impermeabile ai segnali di ripresa che altrove si fanno sentire.

«La mancata ripresa dalla recessione sta portando il reddito pro capite dell'Italia a scendere ancora più in basso rispetto alle principali economie dell'Ocse», si legge nel rapporto sulle riforme. Il Pil pro capite italiano nel 2013 era inferiore del 30% rispetto alla media dei primi 17 Paesi Ocse. Il gap è cresciuto: nel 2007 era del 22,7%. A peggiorare sono gli indici che riguardano il lavoro, cioè la produttività e il tasso di occupazione.

Negli altri 33 paesi Ocse, le riforme avviate dal 2000, proprio grazie a un recupero di produttività, hanno fatto aumentare il Pil potenziale pro capite del 5%. Dal punto di vista delle riforme, l'Ocse promuove il biennio a metà tra il governo Berlusconi e quello Monti e boccia il biennio Letta-Renzi. In Italia negli ultimi due anni «gli sforzi per le riforme hanno rallentato rispetto al periodo 2011-2012» e il Paese si trova pertanto «indietro rispetto alle altre nazioni dell'area periferica dell'Eurozona». Ora è stato messo in campo un «esteso programma di riforme strutturali», che l'Ocse suggerisce di portare avanti «con determinazione, applicando in modo efficace le riforme preesistenti».

Bacchettate anche sulla scuola, che il governo dice di avere messo in cima alle priorità. L'Italia deve «migliorare equità ed efficienza» del suo sistema educativo, che «ha un basso rapporto tra qualità e costo e dovrebbe fare di più per migliorare le opportunità per i meno qualificati». L'unico modo per farlo è aumentare le risorse per il settore. Mentre, sul fronte del lavoro la ricetta consiste nel tagliare le tasse. Il cuneo fiscale è troppo alto per i salari bassi, il sistema fiscale troppo complicato e l'evasione ancora troppo elevata.

Insomma, un quadro molto diverso da quello di chi sostiene che la ripresa è dietro l'angolo, come il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan che ieri al G20 di Istanbul ha insistito su una crescita del Pil superiore alle attese: «I numeri precisi li vedremo, non escludo sorprese in positivo».

Per il momento dall'Istat arrivano brutte notizie. Il cuneo fiscale è al 46,7% (dati del 2012). Sui redditi un italiano su quattro è sotto i 10mila euro. Il Paese è spaccato in due. Il Pil pro capite al Sud è di 17,2 mila euro (dati del 2013). Nel Nord-ovest è di 33,5 mila euro e di 31,4 nel Nord-est. Poco sotto il Centro, che si ferma a 29,4 mila euro.

In questo quadro desolante non potevano mancare le imprese.

Secondo Bankitalia a dicembre i prestiti al settore privato sono calati dell'1,6%. Solo per le aziende il calo è stato su base annua del 2,3 per cento. Segno che i cordoni delle banche sono stretti. E anche che gli imprenditori non chiedono più prestiti.

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