L'Italia segna un punto Ora serve una strategia di lungo periodo

Il vicepremier leghista: «In Libia entro fine mese con una missione risolutiva»

Gian Micalessin

Chi osa vince. Sul caso Aquarius Matteo Salvini ha osato e grazie al bisogno di visibilità del neo premier socialista spagnolo Pedro Sanchez ha garantito all'Italia una delle più significative vittorie sul fronte dell'immigrazione. Ma vincere una battaglia non significa chiudere la partita. E lo dimostra il caso della Diciotti, il pattugliatore della Guardia Costiera con a bordo 937 migranti e due cadaveri in rotta verso il porto di Catania che la attende nella giornata di oggi. L'episodio impone la trasmissione di nuove disposizioni alla Guardia Costiera e al centro Marittimo di Soccorso per meglio ripartire le modalità d'intervento nel Mediterraneo. Insomma ancor prima di trovare un accordo con l'Europa Salvini deve garantirsi il pieno controllo delle strutture di casa propria. Subito dopo deve riuscire a mettere sul tavolo una strategia concreta e di lungo periodo per impedire che i nostri vicini europei ripiombino nel solito indifferente cinismo.

Il problema migratorio «va risolto al di là del Mediterraneo, in Nord Africa», spiega il vicepremier Salvini, che conta di andare in Libia «entro la fine del mese con una missione risolutiva». Ma l'improvvisa impennata delle partenze dalla Libia fa capire che la strategia di contenimento non può basarsi solo sugli accordi con un governo di Tripoli troppo fragile per garantire collaborazioni continuative. I piani della missione navale europea Sophia, utilizzata fin qui solo per salvare i migranti e addestrare la Guardia costiera di Tripoli, prevedono una fase finale in cui le truppe imbarcate a bordo delle navi possono operare dentro le acque territoriali della Libia sbarcando a terra, quando necessario, per colpire i trafficanti di uomini e le loro infrastrutture. Il passaggio a questa fase esige un via libera dell'Onu o di Tripoli, ottenibili solo con l'appoggio di Bruxelles. Il premier Giuseppe Conte pronto ad incontrare tra venerdì e lunedì il presente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel farà bene dunque a chiedere ai due se sono disposti a rilanciare quella dimenticata fase dell'operazione. Anche perché ai militari si potrebbero affiancare gli agenti di quella Frontex che la Merkel ipotizzava, una settimana fa, di utilizzare anche al di là dei confini europei. Si tratterebbe, insomma, di sviluppare la cosiddetta «rivoluzione copernicana» ipotizzata dal premier austriaco Kurz. Una rivoluzione incentrata sull'idea di fermare i migranti irregolari sulle sponde africane per poi garantirne l'internamento in campi protetti da Frontex e avviare veloci e agevoli operazioni di rimpatrio volontario.

Un sì della Merkel è qualcosa di più di una speranza visto che la Cancelliera è impegnata in un duro scontro con il suo ministro dell'Interno Horst Seehofer deciso ad ottenere posizioni più decise sull'immigrazione. L'appoggio alla rivoluzione di Kurz faciliterebbe inoltre i rapporti con quei Paesi dell'Europa Orientale, Ungheria di Orban in testa, che vedono come fumo nell'occhio una riforma del trattato di Dublino basato sulla ridistribuzione dei richiedenti asilo. Anche perché riprendere le fila di quella riforma significa impegnarsi in mesi di estenuanti e probabilmente inutili trattative. Più facile dunque pretendere degli accordi di rimpatrio con i Paesi d'origine dei migranti stipulati direttamente da Bruxelles utilizzando la minaccia del taglio degli aiuti economici.

Il tutto mettendo sul tavolo accordi di concreta collaborazione economica tra l'Italia e i Paesi che accetteranno di riprendersi i propri cittadini. E senza dimenticare l'impegno diretto in Paesi come il Niger da cui passano le rotte dell'immigrazione. E dove la missione militare approvata dal nostro Parlamento resta in una situazione di inaccettabile stallo.

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