Londra frusta Facebook "Siete gangster digitali". E prepara leggi severe

Il Parlamento inglese: «È ora di dire basta a chi viola le norme e bullizza i suoi utenti»

Londra frusta Facebook "Siete gangster digitali". E prepara leggi severe

Tra Londra e Facebook è guerra aperta. La sfilza di «no» che nel corso degli ultimi mesi Mark Zuckerberg ha fatto recapitare a Westminster in risposta alle richieste di comparire in aula per parlare di privacy e fake news non lasciava presagire niente di buono. Ora il Parlamento britannico si prende la sua vendetta. Alzando i toni della polemica e coniando un'espressione che potrebbe avere fortuna tra i critici della Silicon Valley: «Gangster digitali». È questo l'epiteto che il rapporto sulla disinformazione pubblicato ieri affibbia al social network. Colpevole di aver instaurato un monopolio nel proprio settore, facendo affari con ai dati personali degli utenti e approfittando di un mercato in cui vige una deregulation pressoché assoluta. Menlo Park non nega le accuse, ma giura: «Non siamo più gli stessi di un anno fa». Ma le 108 pagine vergate dalla commissione parlamentare ci vanno giù davvero duro. Zuckerberg? Non è al livello del suo ruolo. Facebook? Mette il profitto davanti alla tutela degli iscritti. E le violazioni delle leggi sulla protezione dei dati e sulla concorrenza sono state «intenzionali e consapevoli».

Il team presieduto dal conservatore Damian Collins ha lavorato per 18 mesi su documenti interni a Facebook, in parte emersi durante il processo intentato da una società americana, Six4Three, contro il colosso californiano. Per Collins, Facebook è l'incarnazione della cultura del «move fast and break things», mantra coniato dallo stesso Zuckerberg per dire che il progresso va veloce e inevitabilmente si lascia dietro i cocci del vecchio mondo. Lo slogan è stato ripreso e ribaltato dai legislatori londinesi: per loro giustificherebbe l'abitudine di Facebook di chiedere scusa dopo che il danno è stato fatto piuttosto che chiedere il permesso di farlo prima. Intervenendo per di più «solo quando i problemi diventano pubblici» e tacendo finché si può. Così avrebbe fatto il social network da 2 miliardi di utenti in tutti gli scandali che si è trovato ad affrontare negli ultimi anni: dalle bufale che sono state in grado di condizionare le urne di mezzo mondo al caso Cambridge Analytica, quando si scoprì che i dati di milioni di utenti erano stati rubati e usati a fini commerciali. Un sistema sbagliato, che però è difficile da scardinare vista la posizione dominante di questi attori. «Aziende come Facebook esercitano un enorme potere di mercato - si legge ancora nel report - che permettere loro di fare soldi «bullizzando» le aziende tech più piccole e gli sviluppatori che fanno affidamento alla piattaforma per raggiungere i clienti».

«L'età della self regulation deve finire - spiega Collins -. Bisogna che la legge riconosca i diritti dei cittadini». Il report suggerisce alcune azioni concrete. Innanzitutto la stesura, da parte del Parlamento, di un codice di condotta con validità di legge che le compagnie tech siano tenute a rispettare. A vigilare ci sarebbe un regolatore indipendente con il potere di perseguire legalmente i trasgressori. Altra richiesta è che i social media siano obbligati a eliminare i contenuti violenti o che costituiscono disinformazione, pena «pesanti sanzioni». Ma la commissione richiama all'ordine anche il governo May a cui viene chiesto di aprire un'indagine autonoma sulle eventuali manipolazioni estere sul referendum sull'indipendenza della Scozia del 2014, la Brexit nel 2016 e le elezioni di due anni fa. Per Londra la battaglia contro il «bullo» californiano non si chiude qui. Ma anche per Facebook i conti potrebbero rimanere in sospeso. Ieri il sito Cnbc ha riferito dell'esistenza di un gruppo privato in cui i vertici di Menlo Park registrano tutti coloro che hanno rivolto minacce o semplici offese all'azienda. Centinaia di nomi a cui viene abbinata anche la geolocalizzazione via app.

Il Parlamento britannico nel suo report scrive che «Zuckerberg continua a non essere in grado di dimostrare il livello di leadership e di responsabilità che ci si aspetterebbe da chi guida una delle società più grandi del mondo». Che sia Westminster il prossimo a finire sulla lista nera?

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