L'ordine chiude ai medici No Vax: "Niente tampone, restino a casa"

Il presidente Anelli esclude il ritorno in corsia di chi rifiuta l'iniezione. "L'obbligo è una misura necessaria. E poi dobbiamo dare l'esempio". Ma c'è il nodo della mancanza di personale

L'ordine chiude ai medici No Vax: "Niente tampone, restino a casa"

Tamponare la situazione. Mai come ora il termine diventa protagonista di una situazione, che sta dividendo i camici bianchi. Divampa, infatti, la polemica tra i medici, e non solo, sulla necessità di ovviare in qualche modo alla carenza in corsia. La richiesta avanzata da Giampero Avruscio, presidente della sezione padovana del sindacato dei primari ospedalieri Anpo, di far rientrare i medici No vax sospesi con obbligo di tampone, per fronteggiare la pressione alla quale sono sottoposti nuovamente gli ospedali, trova infatti le perplessità del presidente della Federazione degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, per il quale «la legge che obbliga alla vaccinazione anti Covid gli operatori sanitari non è casuale: nasce proprio dalla necessità di garantire da una parte la sicurezza dei pazienti e dall'altra quella degli operatori, e ciò non è sempre risolvibile con il sistema dei tamponi».

Ricorda infatti che «prima del vaccino, nonostante tutti gli strumenti di protezione che avevamo, morivano tra i 60 e gli 80 medici ogni mese, da quando ci siamo vaccinati la mortalità si è quasi azzerata. Questo dato ci dice tutto. La legge sull'obbligo vaccinale per gli operatori sanitari è il frutto di una serie di valutazioni, oggi condivise da altri Stati europei che stanno introducendo un analogo obbligo: parliamo di salute pubblica con la protezione di pazienti e medici, a cui si aggiunge anche una funzione educativa, e cioè che i medici devono vaccinarsi per dare l'esempio». La questione non si porrebbe se ci fosse personale a disposizione in maniera adeguata ma purtroppo l'attuale situazione si scontra con antiche decisioni di tagli continui alla sanità, blocco delle assunzioni e tante altre scelte che hanno fatto vivere la sanità pubblica sempre in emergenza, affidandosi all'abnegazione del personale sanitario e che un evento sconvolgente come la pandemia rivela immediatamente nella sua gravità. Quindi, al di là dei fronti contrapposti sulla possibilità di ricorrere al tampone, c'è la necessità di porre rimedio subito il problema e anche per una massiccia assunzione di nuovi medici è già stato evidenziato che i giovani non possono aver l'esperienza di chi lavora in corsia da anni o soprattutto nelle terapie intensive e nel pronto soccorso. «La necessità di avere più personale negli ospedali è una esigenza che abbiamo espresso tutti, in ogni momento, e credo che il Covid abbia evidenziato questa necessità e come la programmazione sia stata inadeguata rispetto ai bisogni reali», sottolinea Anelli. E in quanto medici «siamo chiamati a una diretta responsabilità, a un maggior lavoro. Ma ritorniamo ad avere un ruolo nella società: quello di garanti della professione e della scienza. Di quelle evidenze scientifiche che oggi vedono la mortalità dieci volte minore di un anno fa, vedono numeri estremamente più bassi per i ricoveri in rianimazione», conclude, intervenendo a Milano al Convegno della Commissione Albo Odontoiatri nazionale.

Intanto una buona notizia arriva dalla Sardegna, dove con due distinti accordi sindacali, siglati con i rappresentanti dei medici e del personale sanitario del comparto, l'assessorato regionale della Sanità ha definito i criteri per l'assegnazione delle «Rar», le Risorse aggiuntive regionali: 13 milioni di euro stanziati con la legge Omnibus, destinati, attraverso l'introduzione di

incentivi ad hoc, a dare sostegno agli ospedali in difficoltà per la carenza di personale. «Una misura di portata storica, sia per le finalità sia per le risorse impegnate», afferma il presidente della Regione, Christian Solinas.

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