L'ospedale le uccide la figlia e poi le taglia il risarcimento

I legali: "Ha reagito con un'altra gravidanza". La piccola morì nel 2020 per un errore medico

L'ospedale le uccide la figlia e poi le taglia il risarcimento
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Scambiano un'occlusione intestinale per una gastroenterite. E la piccola Gaia, 4 anni e mezzo, muore. Ammesso l'errore, andati a processo con rito abbreviato e condannati in primo grado tre medici del Sant'Orsola, Bologna, l'ospedale rifiuta il risarcimento chiesto dalla madre. Agghiaccianti le motivazioni: «Dovete considerare la capacità di reagire della donna che, a distanza di un anno dalla perdita, ha intrapreso una nuova gravidanza».

Accade tutto il 21 ottobre del 2020 quando la bambina accusa forti dolori all'addome. Viene portata al pronto soccorso dell'ospedale felsineo e sottoposta ad accertamenti. Nessuno dei tre sanitari che si occupano della paziente, un pediatra, un radiologo e un chirurgo, individua la grave patologia. Le condizioni di Gaia si aggravano, muore. Viene aperta un'inchiesta, la Procura sequestra la cartella clinica ed emette i primi avvisi di garanzia. I medici si difendono ma, davanti a prove schiaccianti, decidono per il rito abbreviato che prevede la riduzione di pena. Nel dicembre scorso i tre camici bianchi, accusati di gravi omissioni e sottovalutazione del quadro clinico, vengono condannati per omicidio colposo. Resta da quantificare, in sede civile, il risarcimento dovuto ai familiari. Non è finita. Sugli atti ospedalieri gli inquirenti trovano anomalie, cancellazioni, pagine mancanti. Il pm Marco Imperato avvia un procedimento parallelo per sei sanitari del Sant'Orsola, tra medici e infermieri, accusati di favoreggiamento personale, falso ideologico e omissione di soccorso. False le dichiarazioni rese dopo la morte della bimba come le annotazioni fatte successivamente sulla cartella clinica. Quattro di questi vengono prosciolti mentre per un'infermiera e un medico, una figura ai vertici, le accuse restano. Nonostante ciò l'azienda ospedaliera è pronta a dare battaglia per non pagare quanto chiesto dalla parte lesa. Una situazione che aggiunge amarezza.

«Non hanno argomentazioni - spiega la mamma, Barbara Speranza - dicono che io starei bene perché ho avuto un altro figlio, quindi il mio dolore e il mio risarcimento deve essere contenuto. Quando è arrivato l'atto dai legali del Sant'Orsola i miei avvocati, Pierpaolo Mazzoli e Marco Ferrari, mi hanno chiesto di leggerlo con calma. Sapevano che mi avrebbe fatto male. Sono profondamente ferita». Un atto comunque dovuto da parte dell'ospedale chiamato in causa per risarcire in soldoni il danno provocato dalla diagnosi sbagliata e dalle cure inadeguate. Un diritto dell'azienda ospedaliera, visto che gestisce soldi pubblici, costituirsi in giudizio per pagare meno. Ma non queste modalità. «Stanno strumentalizzando un bimbo di un anno - continua la donna - per dimostrare che, in fondo, non ho sofferto troppo. È irrispettoso nei miei confronti, di mia figlia e del fratellino».

Una tragedia enorme per la donna, che in meno di 24 ore ha perso la sua bambina. «Siamo state abbandonate nel reparto osservazione breve con mia figlia che stava malissimo. Non ho più una vita anche se adesso ho un altro figlio. È una gioia immensa ma segnata dal dolore. Continuo a lavorare, spesso mi ritrovo a piangere davanti ai colleghi. Il lutto non passa mai anche se nasce un altro figlio. La cosa assurda è che di questo mi devo persino giustificare davanti alle argomentazioni portate avanti dall'ospedale. Il mio secondo bambino l'ho avuto dopo i 40 anni, in una famiglia devastata dalla perdita della prima.

Credono sia stato semplice? Per il Sant'Orsola questo vuole dimostrare che, in fondo, la mia vita non me l'hanno completamente distrutta. A leggere quelle carte mi sento male. I figli non sono sostituibili, niente potrà ridarmi mia figlia».

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