L'ostetrica non vaccinata in sala parto con il morbillo

Gravi rischi per madri e neonati. Sulla profilassi materne e nidi verso il caos: Regioni in ordine sparso

L'ostetrica non vaccinata in sala parto con il morbillo

Ostetrica e con il morbillo. È successo esattamente quello che non doveva accadere. Un'operatrice sanitaria con il virus in incubazione, non consapevole di essere contagiosa, ha continuato a lavorare in ospedale entrando in contatto in particolare con donne in gravidanza e bimbi appena nati. È accaduto nel reparto di Ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Senigallia. Il nosocomio e la Regione allertati dal 25 agosto hanno preso le misure necessarie, allontanando anche altri 7 operatori sanitari che sono risultati non vaccinati. I parti in quel periodo nel reparto sono stati soltanto sei e l'ostetrica, che ora ha anche contratto la polmonite, nel periodo in cui era infettiva avrebbe direttamente assistito ad un solo parto. Per evitare questo tipo di rischi nel futuro sarebbe stato necessario obbligare gli operatori sanitari a vaccinarsi. Una misura inizialmente contenuta nel decreto che impone l'obbligo dei vaccini per l'iscrizione a scuola ma che è stata cancellata per mancanza di copertura economica. Col risultato che abbiamo una legge che obbliga a vaccinare i bambini ma non medici, infermieri e personale scolastico.

A dire che così non funziona è proprio il paladino dei vaccini, il professor Roberto Burioni. «Non basta vaccinare i bambini, bisogna pensare anche agli adulti - dice Burioni- Chi lavora in un ospedale è più esposto al contagio e viene a contatto con popolazioni più vulnerabili dunque deve vaccinarsi». Ed è sempre Burioni, a spiegare che «il morbillo contratto durante la gravidanza è un'eventualità grave che può portare a conseguenze drammatiche per il feto». Purtroppo, aggiunge Burioni «se una delle donne gravide con cui l'ostetrica è entrata in contatto ha contratto l'infezione insieme al bimbo che porta in grembo è in serio pericolo».

E sempre sul fronte vaccini si prepara un autunno caldissimo per le scuole che dovranno fronteggiare quello che qualcuno ha già definito lo tsunami dei certificati. Il decreto vaccini prevede infatti la consegna alla scuola da parte delle famiglie almeno di un'autocertificazione delle vaccinazioni eseguite dai figli. E ieri il ministro dell'Istruzione, Valeria Fedeli ha ammesso di essere preoccupata per «i tempi e le condizioni burocratiche» nei quali i genitori devono fornire le documentazioni, ribadendo anche che l'accesso alla scuola dell'obbligo è garantito mentre per nidi e materne è necessaria la vaccinazione. Basterà però presentare l'autocertificazione o anche «la sola prenotazione della vaccinazione» per essere iscritti.

Ma davvero i genitori che non vogliono nemmeno prendere in considerazione di vaccinare i propri figli si vedranno sbarrare le porte di nidi ed asili? La realtà è che su questo punto c'è confusione. Nel decreto è previsto un periodo di transizione che arriva fino al 2019 perché solo da quell'anno scolastico senza la certificazione trasmessa direttamente dalle Asl verrà negata l'iscrizione. Le regioni si stanno organizzando in modo autonomo con il risultato che ci saranno sicuramente disparità di trattamento. In Alto Adige l'anno scolastico inizierà «senza restrizioni per tutti i bambini anche nei servizi educativi per l'infanzia». Pure in Liguria non si chiuderanno le porte ma le famiglie in difetto verranno convocate dal centro vaccinale. In Lombardia da registrare la paradossale polemica tra la regione, guidata dalla Lega di Roberto Maroni, e il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, (probabile candidato del centrosinistra alle regionali del 2018).

Gori attacca Maroni perché segue alla lettera le indicazioni del decreto vaccini, varato dal governo di centrosinistra, che per i primi due anni impone alle scuole di raccogliere la documentazione e trasmetterla alla Asl e non il contrario come invece chiedono i comuni e lo stesso Gori.

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