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Luigino fa l'equilibrista: "Con la Nato ma anche no"

Il vicepremier giura fedeltà all'Alleanza. Poi apre a Mosca. Lezione dalla Merkel sulla difesa dell'interesse nazionale

Luigino fa l'equilibrista: "Con la Nato ma anche no"

«Restiamo alleati degli Stati Uniti e portiamo avanti anche la nostra funzione di dialogo con Paesi come la Russia». Se, come spiegava ieri mattina Di Maio, la rivoluzionaria posizione del governo Conte sulla Russia è tutta qui allora alla Nato possono stare tranquilli. Ci ha già pensato Silvio Berlusconi al vertice di Pratica di Mare di 16 anni fa. E oltre a pensarci è riuscito, a suo tempo, a farla digerire a Stati Uniti e Alleanza Atlantica.

Il problema vero è come riprendere quelle posizioni adeguandole alla situazione odierna e mantenendo ben ferma la bussola dell'interesse nazionale. Perché al di là dell'ovvio mantenimento delle alleanze internazionali e dell'imprescindibile dialogo con una Russia importantissima non solo sul fronte commerciale, ma anche su quello dei rapporti mediorientali e della lotta al terrorismo, la vera capacità del nuovo governo italiano si misurerà in base alla capacità di difendere e sviluppare il proprio interesse nazionale.

A partire dal G7 apertosi oggi in Canada. I nostri alleati e partner europei, a cominciare dalla Germania, lo sanno già fare benissimo. Angela Merkel non ha esitato - dopo tre anni di gelo nelle relazioni con la Russia in seguito alla crisi ucraina - a rilanciare il dialogo con Putin. E lo ha fatto non appena quello con la Casa Bianca ha incominciato a scricchiolare mettendo a rischio alcuni assetti fondamentali dell'economia di Berlino. Quando Washington ha lanciato nuove, durissime sanzioni sull'alluminio russo capaci di danneggiare le case automobilistiche tedesche, grandi utilizzatrici di quella materia prima, la Merkel ha chiesto a Trump di chiudere un occhio e di non pretenderne il rispetto da parte della Germania. Ma quando, nell'incontro di fine aprile a Washington, il presidente statunitense le ha opposto un secco «no» facendole capire di non voler transigere neppure sul nucleare iraniano e sui dazi su alluminio e acciaio la Merkel non ha certo calato la testa. Anzi ha rilanciato proponendo all'Unione Europea, d'intesa con la Francia, di continuare a fare affari con Teheran alla faccia degli Stati Uniti e delle loro sanzioni.

Non paga, a metà maggio, è tornata a sorridere al nemico Putin e non ha esitato ad incontrarlo rivitalizzando l'accordo per lo sviluppo del gasdotto Nordstream 2. Un accordo energetico che garantirebbe alla Germania ulteriori forniture di gas russo e taglierebbe fuori dalla linea dei gasdotti quell'Ucraina diventata dopo il 2014 la grande protetta della Germania e dell'Europa. Pur di difendere gli interessi della Germania, principale partner economico europeo (assieme all'Italia) d'Iran e Russia si è lanciata in una serie di colpi bassi ben più devastanti delle dichiarazioni di principio di Conte e Di Maio. Colpi capaci di mettere a rischio non solo i rapporti con l'America, ma le fondamenta di quell'«atlantismo» cardine dell'ordine mondiale fin dalla seconda guerra mondiale. Eppure nonostante le spese militari della Germania restino ferme (come per l'Italia) all'1,35 del prodotto interno lordo, ovvero ben sotto la soglia minima del 2 per cento pretesa da Washington, nessuno alla Nato sembra indignarsi con la Cancelliera. E nessuno la richiama all'ordine spiegandole - come ha fatto con noi il segretario della Nato Jens Stoltenberg - modi e termini con cui rivolgersi alla Russia.

Forse è tempo che anche il nostro paese impari la lezione.

Anche perché dal 2011 in poi - ovvero dal disastro libico e dalle sanzioni alla Russia in poi - è molto di più quello che - grazie alla Nato - abbiamo dato e perduto di quanto non abbiamo ricevuto.

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