Milano Un'intervista durissima a Marco Travaglio. Un j'accuse senza se e senza ma, scritto con l'inchiostro dell'indignazione. Per Michele Santoro il mancato accordo con La7, nel 2011, per realizzare un nuovo programma dipendeva addirittura dall'intervento a piedi uniti di Mediaset, in grado di condizionare pesantemente le scelte di un editore solo in apparenza libero. Una tesi ardita. Troppo. E infatti per il tribunale di Milano è una bufala. Tanto che Santoro è stato condannato a risarcire Mediaset con 30mila euro.
Insomma, per quel che si capisce, la libertà di pensiero non è in pericolo e comunque non c'è la mano di nessuno dietro la retromarcia di La7 che aveva chiamato Santoro e poi ci aveva ripensato. Il caso può esser raccontato più prosaicamente come una storia di diffamazione. Santoro ha costruito un teorema affidandolo a Marco Travaglio e Silvia Truzzi del Fatto quotidiano , ma non ha portato uno straccio di prova. E così, come anticipato da ItaliaOggi , il giudice Laura Massari «in accoglimento della domanda di Mediaset», assistita dall'avvocato Salvatore Pino, «accerta e dichiara la natura diffamatoria delle dichiarazioni rese da Michele Santoro».
Nell'intervista del luglio 2011 il popolare conduttore televisivo ricostruisce a modo suo la vicenda: spiega che era stato contattato nelle settimane precedenti da Giovanni Stella, all'epoca amministratore delegato di La7. Stella gli aveva offerto uno spazio sulla sua emittente e lui aveva replicato pronto: «Siete davvero convinti di potervi permettere un programma come Annozero ?». Pareva di sì e Stella aveva dato tutte le garanzie del caso. Ma poi il manager torna suoi passi. E Santoro comincia a delineare scenari obliqui e inquietanti: lo zampino dell'onnipresente e onnipotente Mediaset per mettergli i bastoni fra le ruote. «Evidentemente - è la tesi di Santoro - c'è stato un intervento esterno per bloccare un acquisto importante per realizzare un terzo polo televisivo che poteva diventare dirompente per il duopolio Rai-Mediaset. Se Sky e La7 raccogliessero insieme la pubblicità, sarebbe un terremoto». Travaglio e Truzzi insistono e chiedono: «Questo intervento esterno ha un nome?». Santoro non ha dubbi: «Un nome e un cognome: conflitto di interessi. Politico e industriale insieme. Un'azienda, Mediaset, occupa il governo, il parlamento, le autorità, la Rai e piega tutto al proprio tornaconto».
Per Santoro Cologno Monzese ha intralciato i piani di Stella fino a far naufragare il progetto. Il giudice non si nasconde dietro un dito: riconosce «l'importanza che la questione del conflitto di interessi ha avuto ed ha nel nostro Paese». Anzi, il magistrato arriva ad ipotizzare che se Santoro avesse chiamato in causa il Cavaliere e solo lui allora non sarebbe stato condannato: «Non pare censurabile che» Santoro «possa aver ritenuto che l'ostilità del presidente del Consiglio nei suoi confronti potesse essersi tradotta, anche in questa occasione, in un intervento nei confronti di Telecom Italia Media».
Ma quando è troppo è troppo. Santoro l'ha sparata grossa. E ha confezionato una bufala senza alcun elemento a supporto della propria teoria. Mediaset non c'entra niente con questa storia, con la trattativa e con il mancato accordo fra le parti. Santoro «avrebbe potuto riferirsi a lui direttamente», dunque al Cavaliere, «e non attribuire a Mediaset una precisa condotta illecita per impedire il suoi ingresso nella concorrente La7».
Il ragionamento dell'anchorman è zoppo e anzi ha un nome e un cognome: diffamazione aggravata.
Esattamente come sostenuto da Salvatore Pino per conto di Mediaset. Ecco dunque la condanna: 30mila euro, sommando le diverse voci. Altro che complotto. Semmai troppa disinvoltura nel raccontare un dietro le quinte della tv.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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