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L'ultima mazzata per papà Beppe. Mesi in disparte dopo il video-autogol

Per la difesa del figlio il garante è stato attaccato anche dai suoi. La parabola discendente del guru, oggetto di minacce

L'ultima mazzata per papà Beppe. Mesi in disparte dopo il video-autogol

Il botto, le urla. Poi il silenzio durato sette mesi. Infine le minacce e il rinvio a giudizio. La Gup di Tempio Pausania ha mandato a processo Ciro Grillo, ultimogenito di Beppe, e i suoi tre amici, accusati di stupro di gruppo da una ragazza italo-norvegese per i fatti accaduti nell'estate del 2019 in Costa Smeralda, nella villa del comico. Ovviamente il fondatore del M5s non c'entra con le vicende processuali e per il figlio vale il la presunzione di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio. Ma è indubbio che la questione penderà come una spada di Damocle sul leader Beppe Grillo (nella foto nel suo video in difesa dei ragazzi) fino alla chiusura del dibattimento, che potrebbe concludersi con una condanna fino a 12 anni di carcere per i quattro imputati. Inevitabile che il percorso giudiziario, che si annuncia lungo e difficile, condizionerà l'azione politica del Garante del Movimento. E anche le sue possibilità di intervenire direttamente nelle faide interne di un M5s sempre più sfilacciato e balcanizzato. Forse sono state complici le fughe di notizie su un blitz imminente, resta il fatto che il comico continua a rinviare una discesa a Roma che i parlamentari gli chiedono da tempo. Nel caos stellato, la decisione di prendere il 2 per mille come fanno gli altri partiti è solo l'ultima barriera eretta tra il «gran custode dei valori» e Giuseppe Conte, il rifondatore. Grillo è sempre stato contrario a questa forma di finanziamento del partito, Conte si è reso conto che non ne può fare a meno. La base parlamentare è già spaccata. Mentre nel frattempo Conte e i suoi lanciano un aut-aut agli eletti che si stanno allontanando dall'avvocato: «Se non ci appoggiate non sarete ricandidati». Peccato che la parola definitiva sulle prossime liste spetti a Luigi Di Maio, presidente del Comitato di Garanzia voluto da Grillo.

A mettere in subbuglio mezzo Parlamento, il Garante ci aveva pensato il 19 aprile scorso. Con un video estemporaneo. L'unica intrusione nell'inchiesta sul figlio. Senza dubbio un autogol, dato che lo sfogo ha irritato perfino i deputati e i senatori più vicini all'Elevato. «Se dovete arrestare mio figlio, perché non ha fatto niente, allora arrestate anche me perché ci vado io in galera», aveva detto Grillo in quell'occasione. E ancora: «Io voglio chiedere perché un gruppo di stupratori seriali, compreso mio figlio dentro, non sono stati arrestati. La legge dice che gli stupratori vengono arrestati e messi in galera e interrogati in galera o ai domiciliari». Quindi la parte più controversa del discorso. «Sono liberi da due anni, ce li avrei portati io in galera a calci nel culo. Allora perché non li avete arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c'è stato niente perché chi viene stuprato e fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano», le frasi che suonano come una colpevolizzazione della presunta vittima. Anche l'amico ed ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro sgridava così Grillo sette mesi fa: «Voglio bene a Beppe, ma così ha danneggiato le ragazze e il figlio». Arriviamo così agli ultimi giorni. La politica, con lo sberleffo a Conte «specialista di penultimatum» in riferimento all'embargo del M5s sulla Rai. La cronaca, con le brutte minacce alla famiglia Grillo contenute in una lettera arrivata nella villa del comico a Genova. «Condoglianze, avrai lutti in famiglia nel periodo delle Feste».

La Procura sospetta un collegamento con l'inchiesta che riguarda Ciro.

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