Pessimisticamente, a maggio si ritornerà alla semi-normalità. La normalità del dopo coronavirus, che sarà adornata di guanti e mascherine, di stai- lontano-da me, di pizzerie con clientela contingentata, di caffè al bar ma a debita distanza di sicurezza, un metro o meglio due.
Un ritorno alla normalità al rallentatore perché, finché non arriva il vaccino, bisognerà convivere con questo virus. E il rischio di un'ondata di ritorno della pandemia è tangibile. Anzi praticamente prevedibile. Lo dicono gli esperti ma soprattutto lo possiamo vedere in tv, quando scorrono le immagini di Hong Kong, di Henan, di Singapore dove è ritornato il coprifuoco. Non quello tombale, non il lockdownd che ha sconvolto il mondo, ma quanto basta per rimettere tutti in allerta. Prendiamo Singapore. Lì, il 4 febbraio arrivò la prima ondata dell'epidemia contenuta dalle autorità sanitarie con strumenti di controllo sanitario e tecnologico. Ma ora si è presentato un nuovo focolaio causato da cittadini rientrati da paesi stranieri dove si trovavano per studio o per lavoro. E la paura è tornata così come misure di distanziamento sociale. Da noi, che siamo ancora alla fase 1, il pericolo non si è ancora neppure allontanato. E per mesi bisognerà stare all'erta: la popolazione non è immunizzata, per il vaccino bisognerà aspettare ancora diversi mesi e anche le persone guarite non si sa per quanto tempo siano protette. Dunque, il rischio di nuovi focoai è concreto.
Ma come evitare che un fuoco non diventi un incendio? Lo spiega Donato Greco, per anni alla guida della Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute e già capo del Centro di epidemiologia dell'Iss: «Bisogna mantenere la sorveglianza attiva sul territorio, ogni piccolo focolaio con sintomi sospetti va diagnosticata e circoscritta rapidamente». Bisogna concentrarsi sul territorio insomma, a differenza di quanto è avvenuto inizialmente nella lotta di contrasto del covid. Un esempio di come dovrebbe andare: se dopo la prima valutazione il medico di famiglia trova il caso sospetto chiama la Asl e una squadra protetta va a fare a domicilio il tampone rapido. Se è positivo «subito in isolamento spiega Greco- e si ricercano i contatti di prima e seconda generazione. Con dei cerchi concentrici. Ma per fare questo va restituito al dipartimento di prevenzione territoriale la sua vera vocazione».
Il lavoro da fare è un po' in stile Corea, dove ha funzionato setacciare il territorio. «Solo così si potranno controllare i nuovi focolai sulle persone suscettibili, cioè su quei gruppi di popolazione che non hanno ancora incontrato il virus». Greco che in passato ha gestito per 40 anni di epidemie, dal colera, all'ebola, dalla Mers alla Sars, definisce il coronavirus «un animale nuovo molto cattivo con un'aggressione polmonare mai vista prima». Ed è per questo che ogni nuova ondata va arginata con lungimiranza adottando i nuovi strumenti a disposizione. «Oggi possiamo certificare rapidamente positivi e anticorpi con strumenti di diagnostica rapida. E siamo avvantaggiati rispetto le epidemie dei decenni scorsi». Sul passato Greco sostiene che avremmo dovuto attrezzarci meglio. «Non abbiamo adeguato i piani pandemici fermi al 2009 quando abbiamo fronteggiato l'h1n1. E dovevamo adeguarci con attrezzature e sorveglianza sul territorio». Ma d'ora in avanti non bisogna sbagliare. «La cautela del ministero della Salute è giustissima.
Bisogna rientrare un poco alla volta, prima le attività differenziate a poco contatto, come botteghe, gli studi professionali». Poi c'è il capitolo fabbriche. «Si devono adottare le misure di precauzione, certo, ma con uno stop prolungato la gente rischia di morire di fame». La scuola? «Ormai è chiusa».
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