Guerra fredda aggiornata agli scenari del XXI secolo. È questo che ci sta apparecchiando la crisi del Venezuela, rispetto alla quale sempre più nettamente si vanno definendo schieramenti internazionali che riproducono quelli di un periodo storico che si riteneva concluso con il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991. Stati Uniti contro Russia, Occidente contro «impero del male» di reaganiana memoria. E come ai «bei tempi» di Andrei Gromiko, le discussioni in Consiglio di Sicurezza all'Onu stanno appese all'immancabile niet pronunciato dall'ambasciatore di Mosca. E l'Italia? Peggio di allora: i governi a guida democristiana pencolavano sempre verso un terzomondismo d'accatto ma almeno ci mantenevano chiaramente collocati nel campo occidentale, mentre l'indigeribile minestrone gialloverde di oggi ci propina il continuo disaccordo tra due estremismi post ideologici al potere per contratto, con il penoso risultato di un premier che sembra un ologramma. Per il resto, Di Battista confonde un dittatore con un garante della sovranità nazionale e con eleganza definisce l'ultimatum europeo a Maduro «una stronzata megagalattica» paragonando Salvini a Macron, Di Maio tace, mentre il leghista un po' pateticamente si augura che «anche il governo italiano abbandoni ogni prudenza e sostenga il popolo venezuelano». Per confondere ulteriormente le acque il ministro degli Esteri Moavero ci schiera «con gli Stati europei», mentre Conte, a sera, invoca «riconciliazione» e dice no «imposizioni straniere».
Ieri, mentre a Palazzo Chigi ci si arrampica sui vetri degli auspici di pace e di dialogo in un Paese dove si muore di fame e la polizia di regime ammazza i dimostranti per la strada, i due schieramenti internazionali si sono compattati. Spagna, Germania e Francia hanno letteralmente dato gli otto giorni a Nicolàs Maduro, chiarendo che se entro quel termine il presidente non indirà elezioni politiche oneste e credibili, il nuovo fronte europeo (cui aderisce anche il Regno Unito e al quale si presume che si uniranno altri Paesi) riconoscerà come legittimo capo dello Stato quel Juan Guaidò che già mercoledì scorso aveva ottenuto il placet degli Stati Uniti e di quasi tutti i principali Paesi delle Americhe. Perfino la prudentissima Federica Mogherini, a nome dell'Ue, anticipa possibili «ulteriori azioni anche sulla questione del riconoscimento della leadership» venezuelana. Così facendo, gli europei si allineano a Washington e alle sue posizioni nettissime: ieri a Palazzo di Vetro il segretario di Stato Mike Pompeo ha definito il regime di Maduro «mafioso e illegittimo» e ha invitato tutti i Paesi del mondo a «unirsi alle forze della libertà in Venezuela ponendo fine al fallimentare esperimento socialista che affama la gente».
Sull'altro fronte, è la Russia - coadiuvata dalla Cina che come e più di Mosca ha concretissimi interessi economici e geostrategici in Venezuela - a tirare le fila dei difensori di Maduro. Nel dibattito al Consiglio di sicurezza che Mosca ha tentato invano di bloccare, l'inviato del Cremlino ha denunciato «un tentativo di golpe contro il presidente», mentre con certezza si preparava insieme con il collega cinese a porre il veto a ogni risoluzione ostile verso il regime filorusso al potere a Caracas.
In pieno stile Le Carrè, infine, i blocchi che si confrontano in Venezuela si attivano per proteggere l'incolumità stessa dei loro protetti.
L'Organizzazione degli Stati americani ha accordato a Juan Guaidò e alla sua famiglia misure di protezione, mentre Mosca ha già inviato in Venezuela mercenari dell'organizzazione Wagner per garantire la sicurezza di quello che è l'uomo di Putin a Caracas.
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