L'ultimo crac di TeleRenzi: Veltroni affonda lo share

Male il nuovo programma dell'ex segretario Pd in Rai Il dg Dall'Orto voluto dal premier colleziona solo flop

L'ultimo crac di TeleRenzi: Veltroni affonda lo share

«Sarà una festa», aveva detto, «la Rai è la fabbrica delle idee», aveva detto. La prima puntata dello show di Veltroni però non è stata una festa, mentre la Rai di Campo dall'Orto si conferma sì una fabbrica, ma di flop. L'ultimo arrivato in casa Rai è il programma ideato dall'ex segretario Pd Walter Veltroni, recentemente tornato alle sue passioni giovanili (il cinema, la tv, le emozioni). Prodotto dalla «Magnolia», società fondata dall'attuale sindaco Pd di Bergamo Giorgio Gori e cofondata dall'attuale direttore di RaiDue Ilaria Dallatana (entrambi non hanno più a che fare con la società), Dieci cose su RaiUno ha recuperato un 10,9% di share, ben al di sotto della media di rete per il prime time, meno della metà del programma concorrente su Canale 5. «Dopo aver affondato l'Ulivo Veltroni affonda anche la Rai» sfotte Dagospia, mentre anche su Twitter è un carnevale di battute e stroncature sull'ennesima caduta della Rai firmata stavolta Veltroni: «Ci voleva impegno per far coincidere Dieci Cose con lo share, uno dei più bassi di sempre al sabato sera su Rai1», «Tv vecchia e noiosa, idea da asilo tv realizzata male», «Tra le Dieci Cose una da evitare sempre: coinvolgere Veltroni», «Ciofeca di programma con cui Veltroni si diletta a fare l'autore televisivo alla modica cifra di 1 milione di euro a puntata». Il milione è il costo della puntata, il settimo programma più costoso della Rai nel 2016 (8.800 euro al minuto), non il compenso dell'ex sindaco di Roma, che non è noto (ci pensa Gasparri a chiederlo: «Veltroni riciclato in Rai? Quanto ti pagano? Dillo qui».

È ancora presto per parlare di un caso Veltroni in Rai, perché siamo alla prima puntata, ma la strada è quella. E si somma agli altri casi di insuccesso che ormai iniziano a diventare troppi nella Rai dei top manager renziani. Manca ancora il dato Auditel complessivo per la Rai nel 2016, ma il confronto mese su mese sul 2015 dimostra un calo degli ascolti. A luglio scorso, ad esempio, l'ascolto medio dei canali del servizio pubblico è stato del 34,5%, mentre nello stesso mese del 2015 era del 36,2%, pari a 130mila telespettatori persi. Le nuove (si fa per dire) idee sui talk show non funzionano, a partire dall'erede di Ballarò nella prima serata del martedì di Raitre, quel Politics condotto dall'ex Sky Gianluca Semprini (assunto appositamente come caporedattore a tempo indeterminato) che viaggia sul 3-4% di share, percentuali da chiusura (mentre anche i format di buonismo collaudato come Che tempo che fa di Fazio perdono ascolti).

Un fallimento che porta la firma di Daria Bignardi e di Campo Dall'Orto. Il direttore generale paragonato dallo stesso Pd in Vigilanza Rai, a Ignazio Marino e a Capitan Schettino, due paragoni spietati. Che si spiegano però con la serie negativa messa in campo dal dg scelto da Matteo Renzi con le più grandi aspettative («È uno dei più interessanti innovatori della tv in questo Paese»). I nuovi programmi che non vanno. Poi, le epurazioni di conduttori non allineati e la cacciata di svariati dirigenti considerati non abbastanza fedeli, sostituiti con nuovi manager assunti da fuori con doppia spesa plurimilionaria (quella per i nuovi contratti e quella per gli incentivi alle dimissioni dei vecchi). Una lunga sequenza di assunzioni esterne su cui, altra grana, indaga l'Anac di Cantone, perché fatte senza cercare prima all'interno dell'azienda.

Ma non basta, c'è la vicenda imbarazzante (per il premier innanzitutto) dei superstipendi, che invece di adeguarsi al tetto di legge dei 240mila euro lo superano in decine di casi, fino ai 650mila euro l'anno dello stesso Dall'Orto. Una collezione impressionante di guai e flop. Ci mancava solo Veltroni.

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