L'ultimo flop di Gratteri: cade l'accusa sull'azzurro

Calabria, l'ex presidente del Consiglio Tallini era accusato di concorso esterno: ma il fatto non sussiste

L'ultimo flop di Gratteri: cade l'accusa sull'azzurro

Un altro caso di malagiustizia. Sempre in Calabria. Dopo il caso dell'ex senatore di Forza Italia, Giancarlo Pittelli, un'altra inchiesta, firmata Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, con i piedi di argilla.

È la storia di Domenico Tallini, ex presidente del Consiglio regionale della Calabria (con Jole Santelli presidente), di Forza Italia. Dopo essere stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di scambio elettorale politico mafioso, ieri è stato assolto in primo grado con la più ampia formula del «fatto non sussiste».

Il gup del tribunale di Catanzaro, nell'ambito dell'inchiesta FarmaBusiness, istruita dalla Dda, guidata appunto da Gratteri, ha sancito l'insussistenza delle prove. «Un'accusa del tutto infondata spiega il legale di Tallini, Vincenzo Ioppoli con fonti di prova fragili, tant'è che prima il tribunale del Riesame e poi la Cassazione dichiararono la loro infondatezza». Il politico catanzarese aveva scelto di essere giudicato con il rito abbreviato e la sua sentenza è quella che più balza all'occhio fra le 14 condanne e le sei assoluzioni. Gratteri riteneva di aver dimostrato che la mafia calabrese si era infiltrata nel mercato farmaceutico grazie all'appoggio di Tallini, ai tempi in cui era assessore regionale al Personale. Sette anni fa. Secondo la sua ricostruzione, avrebbe agevolato gli interessi della cosca Grande Aracri nel settore della distribuzione dei farmaci, accelerando l'iter di rilascio dell'autorizzazione per la costituzione di due consorzi. Secondo Gratteri, Tallini avrebbe svolto la funzione di intermediario negli uffici del dipartimento Tutela della Salute e in cambio avrebbe ottenuto appoggio elettorale alle Regionali del 2014. Fantasie giudiziarie.

«Tutto ciò se non mi ripaga delle indicibili sofferenze, sicuramente mi restituisce la serenità commenta Tallini -, perché gli infamanti reati che mi erano stati attribuiti sono stati cancellati in maniera totale. Non porto rancore verso nessuno, ma quanto mi è capitato serva a fare riflettere tutti. Non mi sento un perseguitato, mi sento uno che ha subito un'ingiustizia».

La sua vicenda inizia il 19 novembre 2020 quando Tallini si ritrova 8 carabinieri in casa che gli comunicano una misura di custodia cautelare ai domiciliari (durata solo un mese). Il classico teorema valido per tutte le stagioni: la commistione politica, affari, mafia. «Hanno costruito tutto questo a distanza di 7 anni perché potevo candidarmi alle elezioni regionali dopo la morte di Jole. Nell'ordinanza scrivono, infatti, che il potere da presidente del consiglio era diventato talmente grande e smisurato da rappresentare un pericolo potenziale per lo scambio politico mafioso e che potevo reiterare il reato se fossi stato candidato. Insomma, volevano impedirmi di vincere. Visto che avrei potuto avere i voti. Non soffro di vittimismo, però guarda caso in Calabria queste cose succedono solo agli esponenti di Forza Italia e soprattutto ai detentori di grandi consensi elettorali. Hanno voluto segarmi le gambe con una campagna mediatica diffamatoria».

E adesso, a 70 anni, è difficile rimettersi in pista.

«La politica mi manca e cerco di non averne un rigetto anche se non è facile quando ti accorgi che le dichiarazioni di coloro che ti stanno vicino e dovrebbero darti solidarietà sono solo di facciata e i tanti sacrifici fatti non sono valsi a nulla. Dopo la morte di Jole nulla è più come prima».

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