Anche il fu partito del Vaffa, come tutte le buone famiglie, ha le sue consuetudini. Soprattutto nei momenti importanti. Poco più di un anno fa Il Giornale rivelava che l'avvocato Giuseppe Conte, prima di salire al Quirinale per ricevere l'incarico di premier, si era precipitato nella casa romana di Pietro Dettori, fedelissimo ed ex dipendente di Davide Casaleggio, per mettere nero su bianco il discorso all'uscita dall'incontro con Sergio Mattarella, alla Sala della Vetrata del palazzo dove ha sede la presidenza della Repubblica. Ieri il rito si è ripetuto, in una sorta di seduta di autocoscienza collettiva per dare il via libera alla nuova alleanza con il Pd. Ieri dopo pranzo lo stato maggiore del M5s si è ritrovato a casa di Dettori per il summit decisivo. Il capo politico Luigi Di Maio, tentato fino all'ultimo dalle sirene di Salvini, si è visto prima a spasso per il centro di Roma, in camicia blu e bermuda, in compagnia della fidanzata Virginia Saba. Tornato nella sua abitazione si è cambiato d'abito per incontrare i rappresentanti delle correnti del Movimento al gran completo. Assente soltanto il Garante e fondatore Beppe Grillo, vero dominus della «svolta a sinistra» dei Cinque Stelle. C'erano, oltre al capo politico Di Maio, i ministri uscenti Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, i capigruppo di Camera e Senato Francesco D'Uva e Stefano Patuanelli, il senatore e presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, il presidente dell'Associazione Rousseau Davide Casaleggio, lo stesso Dettori e il sottosegretario Vito Crimi.
Sul tavolo, l'accordo con il Partito Democratico guidato da Nicola Zingaretti. Lo stato maggiore cammina sui carboni ardenti, stretto in un vicolo tra le proteste della base e di un gruppo di parlamentari anti-dem e la maggioranza dei gruppi di Montecitorio e Palazzo Madama che, insieme a un rinvigorito Beppe Grillo, spingono invece per l'alleanza. Due le condizioni poste dai più scettici, nelle persone di Di Maio e Casaleggio, per dare luce verde al governo giallorosso: oltre alla riconferma di Conte, la presenza del capo politico nell'esecutivo con un ruolo chiave, la votazione dell'accordo su Rousseau. E la terza condizione è propedeutica alla prima. Perché lo stato maggiore è convinto che la base accetterebbe il cambio di alleato soltanto partendo dal bis dell'amatissimo Conte a Palazzo Chigi. Per quanto riguarda il termometro della febbre del variegato gruppo parlamentare, ci sono dei rischi per la tenuta di qualsiasi maggioranza. Nell'incontro di ieri si è parlato di dieci senatori non disposti a votare la fiducia a un esecutivo M5s-Pd, ma dall'altro lato si temono smottamenti maggiori nel caso di un improbabile ritorno di fiamma con la Lega.
È stato proprio il dossier legato alla votazione sulla piattaforma Rousseau il nodo più delicato affrontato durante il vertice. Su questo punto, Casaleggio Jr. non ha intenzione di fare passi indietro. Nell'ottica del braccio aziendale del Movimento sarebbe impensabile certificare un nuovo accordo senza il sigillo di Rousseau. Tra le fonti vicine all'azienda si ripete come un mantra: «Noi siamo il partito della partecipazione dal basso e della democrazia diretta, su questo non ci possono essere cambiamenti». Ma c'è un ostacolo di natura tecnica: il regolamento sui tempi delle consultazioni online.
Infatti l'urna virtuale potrebbe essere aperta già domani, date le tempistiche strette sulla soluzione della crisi imposte da Mattarella, ma per dare la parola agli iscritti «servirebbe una deroga al regolamento» che prevede un preavviso di 24 ore sul Blog delle Stelle per ogni votazione. Il quesito dovrebbe contenere la ratifica dell'accordo con il Pd, i 10 punti annunciati da Di Maio e forse la premiership di Conte in caso di nuovi veti dai dem.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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