La promessa di Macron di ricostruire Notre-Dame in cinque anni «ha fatto sicuramente breccia sull'orgoglio dei francesi, sensibili alla questione della resurrezione della cattedrale». Ma la sintonia tra cittadini e presidenza «non è destinata a durare» più a lungo di qualche giorno. Ne è convinto François Dubet, sociologo francese, direttore scientifico della Ehess, l'Ecole des hautes études en sciences sociales.
Lei ha da poco pubblicato Le Temps des passions tristes (Il Tempo delle passioni tristi, ed. Seuil), in cui riprende l'espressione di Spinoza per affrontare il tema delle diseguaglianze e dei populismi. In che stato d'animo è la Francia di oggi?
«Il rogo di Notre-Dame ha imposto una tregua alla rabbia sociale. Come con gli attentati del 2015, l'incendio ha creato uno stato di sospensione che ha arginato le rivendicazioni. Siamo al momento della comunità e dell'unione. Ma non durerà molto».
Che cosa rappresenta Notre-Dame per i francesi?
«È l'unico edificio in Francia che non si limita solo a essere un simbolo religioso ma è anche un simbolo repubblicano. Consideri che il chilometro zero, dal quale si misurano tutte le distanze di Francia, è fissato a Notre-Dame. Chi non pensa alla chiesa come luogo di culto, pensa a Victor Hugo e al suo romanzo, un'opera anticlericale. Ecco perché è un simbolo che unisce».
Cosa succederà dopo la «tregua»?
«Ovviamente tra qualche giorno torneremo alla vita politica normale, perché il presidente farà degli annunci, comunicherà il piano delle sue riforme. E ritornerà il senso di delusione di molti cittadini. Sono ancora tantissimi a sentirsi traditi».
Si riferisce ai gilet gialli che scendono in piazza ogni sabato, da 22 settimane?
«Dopo il disastro di Notre-Dame, per i gilet gialli sarà più difficile avventurarsi in azioni violente e devastazioni. Ma la rabbia resta. E non sarà Notre-Dame a sedarla».
È il senso di esclusione delle classi medie? Lei sostiene che si sentano addosso una forma di disprezzo.
«Le persone non si sentono rappresentate e ascoltate. Le diseguaglianze sono vissute come esperienze individuali e non più collettive. Non essendo più interpretate e rappresentate politicamente, mettono in discussione gli individui stessi, che si sentono abbandonati e disprezzati: da chi li governa, dai media e dallo sguardo degli altri».
C'è un problema di rappresentanza?
«Abbiamo vissuto la distruzione di un sistema politico, lo stesso Macron incarna la fine della sinistra e della destra tradizionale. C'è stato un tempo in cui sindacati e partiti si facevano carico della collera popolare. Ora non più. Abbiamo manifestazioni e violenza che non hanno prospettive politiche».
Non c'è futuro politico per i gilet gialli?
«Non credo riusciranno a diventare un movimento politico di professione. Ogni volta che un loro esponente fa una proposta, viene assassinato dagli altri».
La spunterà Macron alla fine?
«Con Notre-Dame la legittimità del presidente e l'unità nazionale si sono sicuramente rafforzate ma temo non dureranno».
Il presidente annuncerà nuove riforme. Il Gran Débat ha funzionato?
«Solo in parte. In realtà ha dimostrato l'eterogeneità delle rivendicazioni, spesso contraddittorie fra loro».
Ci sono incoerenze?
«Guardiamo ai gilet gialli. Sono ecologisti, ma chiedono di abbassare le accise sul carburante. Vogliono il taglio alle tasse ma molti nemmeno le pagano e intanto chiedono di potenziare i servizi pubblici».
Con Sarkozy la crisi economica, con Hollande il terrorismo. Ora i gilet gialli e Notre-Dame. A ogni presidente la sua maledizione?
«C'è un problema democratico. Un sentimento di delusione per cui ormai si elegge qualcuno e dopo due anni ci si sente traditi.
Si vota per un governo ma poi non si sostengono le sue politiche. Macron è vittima di un meccanismo di cui ha beneficiato. Si vota più contro qualcuno che a favore di qualcuno. E lui è stato eletto per fermare il populismo di estrema destra di Marine Le Pen».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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