Madrid, ultimatum a metà: «Domani stop all'autonomia»

Puigdemont: «Secessione se continua la repressione» Commissariamento vicino, ma le trattative proseguono

A nche l'ultimatum dell'ultimatum è stato, alla fine, smontato da Carles Puigdemont con una richiesta di dialogo prima, e poi con un aut aut indirizzato, nell'ennesima lettera, a Madrid. «Se Rajoy applicherà le misure costituzionali dell'art. 155, allora proclameremo la dichiarazione unilaterale d'indipendenza (Dui, ndr)», ha dichiarato solenne, ieri mattina, poco prima delle dieci, il President dell'autogoverno catalano, usando anche il verbo «confermare» (la proclamazione, ndr). Ammettendo, quindi, seppur inconsciamente, che una dichiarazione in fondo da parte sua c'era già stata.

Giovedì, l'ennesima puntata della saga catalana ha costretto i media a passare al setaccio la sintassi di ogni dichiarazione che rimbalzava da Barcellona a Madrid. Poi, anche il ben paziente Mariano Rajoy, ha detto basta a quel «ricatto inaccettabile». Basta con le missive, stop ai video furbetti e accusatori, ora si va al Senato con la richiesta di utilizzare «le misure costituzionali» e chiudere la partita con Puigdemont. La Camera alta, tuttavia, sarà disponibile non prima del 31 ottobre, data che potrebbe essere scelta da Puigdemont per la Dui. In modo simbolico e audace. Per non dire sfacciato. Intanto agenti della Guardia Civil spagnola in borghese hanno avviato perquisizioni nel commissariato di Lleida dei Mossos d'Esquadra, la polizia catalana, con l'intento di sequestrare, su mandato di un giudice istruttore, le registrazioni delle comunicazioni interne del 1 ottobre, durante le operazioni di voto del referendum di indipendenza.

Prima di volare a Bruxelles per il vertice europeo (e incassare l'appoggio di Francia e Germania), Rajoy e il socialista Sánchez avevano offerto al President un modo dignitoso per uscire di scena: le elezioni anticipate, così da permettere ai catalani di decidere per un Govern moderato e aperto al dialogo o un altro quadrumviro di separatisti anti-Costituzione. L'accettazione delle urne da parte di Puigdemont, il rivoluzionario democristiano catalano, avrebbe fermato la macchina punitiva dell'art. 155, evitando conseguenze drammatiche su società ed economia, già segnate dal braccio di ferro catalano con settecento aziende in fuga.

Così, purtroppo, non è stato. E ora Puigdemont può solo tirare il fiato per due settimane, in attesa che Madrid metabolizzi e voti le «misure costituzionali» e poi passi la palla al Senato. Sabato mattina è previsto un Consiglio dei Ministri straordinario, alla presenza del premier, di ritorno da Bruxelles, sarà ufficializzato alla Camera alta l'uso del 155, per riportare alla legalità la Catalogna.

Puigdemont, intanto, incassato mercoledì sera il via libera alla Dui fai-da-te dal suo partito, quel PDeCat, sorto dalle ceneri e tangenti del Cdc, ora deve tenere a bada la falange più irrequieta di Erc, la sinistra repubblicana. Guidata dall'imponente Oriol Junqueras, un politico da strada che, oltre ai robusti appetiti, ha il cieco appoggio degli indipendentisti, Erc dal 10 ottobre preme per la Dui «costi quel che costi». Poi, c'è il delicato appoggio esterno della Cup al suo esecutivo: un esperimento di equilibrismo politico tra sinistra, destra e centro. I catalani unitari hanno dato la loro fiducia al President soltanto sulla cuestión catalana. E se separazione non sarà, sono pronti a fare cadere il governo di Barcellona, realizzando la richiesta di Rajoy e Sánchez che sperano in un nuovo corso con la Generalitat.

Alla Generalitat, in attesa dell'offensiva/difensiva costituzionale di Madrid, si applica il «protocollo Kosovo», il tentativo tragicomico di attirare l'attenzione della Comunità internazionale sulla Catalogna, descritta come «nazione» interna del

Reino de España e schiacciata dalla repressione e oppressione imperialista di Madrid. Un pianto alla kosovara, senza la guerra e i morti. In realtà un treno, senza più freni, in rotta di collisione con la stazione centrale.

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