Madrid dopo il voto trema: è già caos sulla governabilità

No del Psoe all'inciucio con i vincitori del Pp. Ipotesi di strane intese sinistra-destra. L'ombra del terzo turno

Madrid dopo il voto trema: è già caos sulla governabilità

Il giorno dopo le elezioni, la Spagna si rende conto di non essere più lontano di sei mesi fa. Le urne hanno ribadito il rebus della governabilità. E il voto di domenica, invece, ha contraddetto i media che davano per scontato il sorpasso di Podemos sui socialisti. Le urne hanno mostrato la fragilità dei due partiti populisti, gli ex Indignados del professor Pablo Iglesias e Ciudadanos, esperimento sociale del centrista Albert Rivera che, più di tutti i candidati, ha pagato.

Nulla di nuovo quindi sul suolo iberico. Il Partito popolare del premier Rajoy, è rimasto in vetta e si è anche rafforzato rispetto a dicembre: è cresciuto di 13 deputati, ottenendone 137 su 350, (33% dei voti). Un piccolo grande successo per il grigio politico con la faccia e i modi da ragioniere che ha dovuto fare l'antipatico e traghettare il Paese fuori dalla crisi economica, strettamente sorvegliato da Bruxelles e dalla Merkel. I socialisti hanno riconquistato il secondo gradino del podio, perdendo però 5 seggi al Congresso e chiudendo a 85 (22,8%): se già a dicembre avevano raccolto un pessimo risultato, domenica si sono superati, evitando, tuttavia, il disonore del sorpasso a sinistra del Codino Iglesias. Podemos, il partito del cambiamento, che in 48 mesi ha convinto un quinto dell'elettorato, erodendo voti a Pp e Psoe alle legislative 2015, domenica ha ottenuto il medesimo numero di seggi, 71, ma con l'iniezione dei voti di Izquierda Unida, con cui si è alleato, è franato rovinosamente. Stessa sorte per Ciudadanos, gli indignati catalani di centrodestra, il cui voto è stato vampirizzato dal Pp: da 40 seggi sono scesi a 32 (12,9%).

Y ahora que? E ora che si fa? Si chiedono gli spagnoli che per la seconda volta in sei mesi sono nel pantano. Il cambiamento sperato, dopo una delle più brutali crisi economiche con picchi di 6 milioni di senza lavoro, si è arenato. Gli spagnoli hanno dimostrato l'incapacità di staccarsi da quarant'anni di comodo bipartitismo.

Non si fidano più e temono un nuovo e assurdo ritorno alle urne. Si sono entusiasmati nel 2011 con le occupazioni pacifiche delle principali piazze, si sono innamorati di facce nuove: il bel Pedro Sanchez, nuovo segretario degli obreros, che prometteva di rottamare il vecchio e corrotto Psoe, l'inedito Pablo Iglesias, carismatico e dialetticamente superiore nei dibattiti, favorevole all'indipendenza della Catalogna, ma pasticcione sull'Europa, tanto che gli elettori hanno creduto volesse buttare fuori la Spagna dalla Ue, ora che Bruxelles salvava le cianotiche banche iberiche. Non gli hanno riconfermato la preferenza sotto l'effetto Brexit. Per non dire di Albert Rivera, super bello, ma lontano dall'essere il cambiamento.

Adesso parlano i numeri: sulla carta l'unica coalizione da maggioranza assoluta (176 deputati) è da costruire sulle larghe intese tra Pp e Psoe. Ma Sanchez ha già dichiarato che con i Popolari mai, sia con Rajoy che senza.

E i numeri allora tirano in ballo una coalizione ideologica: socialisti, ex indignati di sinistra (Podemos) ed ex indignati di destra (Ciudadanos): assieme arriverebbero a 188, un esecutivo di otto scranni risicati e bisognoso del sostegno delle forze politiche locali, anche indipendentiste che, però, i Socialisti non accetterebbero mai. Y ahora que?

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