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Mafia Capitale, atti choc: "A Roma la democrazia è stata compromessa"

"Ignazio Marino - scrivono i commissari - dimostra di aver commesso l'errore, più volte denunciato come grave dagli organi chiamati alla repressione della criminalità mafiosa, di sottovalutare la corruzione e non identificarla per quello che è: un veicolo del contagio mafioso"

Mafia Capitale, atti choc: "A Roma la democrazia è stata compromessa"

Roma - «È parere di questa Commissione d'accesso, pertanto, che l'esercizio dei poteri di indirizzo politico e di gestione amministrativa degli organi di Roma Capitale, sia stato fortemente condizionato da un'associazione criminale di stampo mafioso». Alla faccia della discontinuità. La relazione della commissione d'accesso che ha fatto per sei mesi le pulci al Campidoglio, finalmente declassificata, conclude che gli «schemi» e i «copioni» di Mafia Capitale andati in scena con la giunta Alemanno sono stati «sostanzialmente non intaccati» dopo l'elezione di Marino. Finendo per indebolire «i presidi di legalità di Roma Capitale», grazie a una «pluralità di situazioni patologiche». Tanto che il «capitale istituzionale» (a cui la relazione dedica un devastante capitolo) del Campidoglio guidato dall'ormai ex sindaco chirurgo non ha impedito all'organizzazione criminale di «infiltrare la pubblica amministrazione, assoggettandone le funzioni grazie ad amministratori corrotti, a “portatori sani” del contagio mafioso ed alla programmata anestesia degli organi deputati al controllo». Insomma, scrivono sempre i tre commissari, i sei mesi di lavoro hanno fornito sufficienti elementi «concreti, univoci e rilevanti», per poter affermare che «i principi di democraticità di Roma Capitale siano fortemente compromessi».

Conclusioni che spiegano la «blindatura» del documento. Certo, la relazione che caldeggiava il commissariamento è stata poi ammorbidita da quella del prefetto di Roma, Franco Gabrielli, che ha accompagnato il primo documento fin sul tavolo del ministro dell'Interno, Angelino Alfano, che come noto a fine agosto ha poi portato il caso in consiglio dei ministri, sciogliendo solo il municipio di Ostia e «salvando» Roma dall'onta. E in fondo, anche il fatto di averla desecretata a orologeria, quindi solo dopo che il Pd era riuscito a defenestrare il primo cittadino, e dunque con Roma comunque già «commissariata», svuota il potenziale esplosivo del documento. Ma di certo, a leggere il lavoro della commissione di accesso è evidente che i tre uomini guidati dal prefetto Marilisa Magno hanno finito il compito con i capelli dritti. E senza lesinare bastonate anche all'ex sindaco. «Ignazio Marino - scrivono i commissari - dimostra di aver commesso l'errore, più volte denunciato come grave dagli organi chiamati alla repressione della criminalità mafiosa, di sottovalutare la corruzione e non identificarla per quello che è: un veicolo del contagio mafioso».

E per chiarire il concetto, ricostruiscono anche «la parabola» della «considerazione che di lui hanno i membri» del Mondo di mezzo: «Se al momento dell'elezione essi esprimono preoccupazione ed addirittura ne programmano la caduta, dopo un periodo di “aggancio” ed essere riusciti anzi ad ampliare la propria presenza all'interno dell'Amministrazione, auspicano infine che il suo mandato giunga al termine naturale», come dimostra la celebre intercettazione di Buzzi: «lui (Marino, ndr ) se resta sindaco altri tre anni e mezzo, con il mio amico capogruppo ci mangiamo Roma».

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