Di Maio candidato premier smentisce anche se stesso

Era contro gli indagati, ma ora che è sotto inchiesta regole cambiate. E vuole governare senza mai aver lavorato...

Di Maio candidato premier smentisce anche se stesso

«La regola è molto semplice, gli indagati non si candidano». Firmato Luigi Di Maio, indagato e candidato. Com'è che i grillini hanno stravolto completamente la «semplice regola» per cui gli indagati devono stare fermi un giro? Altrettanto semplice la risposta: metà di loro sono finiti sotto inchiesta giudiziaria, cosa che capita quando passi dai banchetti del Vaffa Day all'ufficio di sindaco di una città. Indagato Di Maio (per diffamazione della Cassimatis), indagata la Raggi, (abuso d'ufficio e falso, per cui rischia il rinvio a giudizio) indagata la Appendino (per lesioni), indagato Nogarin (abuso d'ufficio), indagati per abuso d'ufficio i sindaci grillini di Alcamo e Assemini, e così via. Ma la regola è: dipende. L'indagato va sospeso se non sta simpatico a Grillo, Casaleggio e al loro cerchio magico, la gravità del reato contestato va pesata di volta in volta, a seconda del soggetto. È successo per Pizzarotti, subito sospeso appena indagato (poi archiviato), succede al parlamentare siciliano M5s Riccardo Nuti, in odore di epurazione, e tutti quelli messi male coi vertici. Per gli altri invece un'indagine a carico non è un problema, tant'è che il M5s ha dovuto escluderla come una condizione per l'incandidabilità alle primarie che designeranno l'indagato Di Maio alla corsa per la premiership. Proprio lui che, invece, si era fatto portabandiera della norma etica per cui l'indagato deve fare un passo indietro. «Se applicassero le nostre regole sugli indagati, al governo resterebbero solo le sedie» assicurava Di Maio solo qualche mese fa. «Negli altri partiti gli indagati fanno carriera, noi invece non facciamo sconti a nessuno». «Se sei indagato per abuso d'ufficio devi dimetterti» diceva Di Maio, salvo poi cambiare versione quando per abuso d'ufficio è stata indagata la Raggi, una delle protette dalla ditta: «Le dimissioni? Solo in caso di condanna in primo grado».

Con tali premesse, Di Maio ha sciolto le riserve (che peraltro non aveva) e ha annunciato su Facebook di «accettare la candidatura a Premier del Movimento Cinque Stelle», citando nientemeno che Gandhi («Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci»), con l'obiettivo di andare a Palazzo Chigi e «far risorgere l'Italia». La corsa di Di Maio, il prescelto dalla Casaleggio Associati, avrà difficilmente ostacoli, anche perché è l'unico candidato. Certo, c'è tempo ancora fino a mezzogiorno di domani per qualche candidatura che salvi la forma, ma i giochi sono già fatti. E non piacciono proprio a tutti dentro il M5s. Un esempio, il deputato grillino Luigi Gallo: «Dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo al Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio. A voi i commenti! Tutti gli iscritti devono sapere quali sono i poteri del capo politico poco definiti dal regolamento interno». E sotto l'elenco dei poteri che potrebbero andare a Di Maio, poiché - ha detto Grillo - il candidato premier sarà anche il capo politico. Figura a cui spettano, secondo il regolamento interno, varie prerogative, come «indire le votazioni in rete, scegliere i temi da mettere in votazione, definire le regole per le candidature, scegliere il collegio dei probiviri». Oltre a scegliere la squadra dei ministri da presentare prima delle elezioni. Il timore degli ortodossi è che Di Maio li metta ai margini. E i dubbi della base emergono anche nei commenti al post di Gallo: «Tutto questo potere nelle mani di una persona che è anche candidato premier non va bene», «Il garante delle regole deve restare Beppe», «Questo regolamento è quello di una dittatura» alcuni dei post.

In ogni caso, un settembre memorabile per Di Maio, che in pochi giorni scala il M5s, diventa candidato premier («Uno che non solo non si è mai laureato ma non ha nemmeno mai lavorato un giorno in vita sua, e parlano di meritocrazia!» attacca l'azzurro Sestino Giacomoni), e infine si guadagna una pensione di 1.000 euro al mese per soli 4 anni passati a Montecitorio. Sì, hanno detto che tra trent'anni rinunceranno. Ma vista l'inversione a U sugli indagati in lista, c'è poco da stare tranquilli.

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