Di Maio come Scalfaro: "Io bugiardo? Non ci sto" E Conte prova a mediare

Palazzo Chigi: c'era l'accordo ma il testo era in bianco. Le pressioni su Luigi di Fico e «Dibba»

Di Maio come Scalfaro: "Io bugiardo? Non ci sto" E Conte prova a mediare

Roma Sembrava che Giggino si fosse cacciato in un guaio più grande di lui, ma ora che sul condono fiscale i toni della Lega si ammorbidiscono, già si vede salire da vincitore, con i suoi ministri, sul palco della kermesse del M5s, oggi al Circo Massimo di Roma.

Se andrà così lo sapremo alla fine del vertice che precederà il Consiglio dei ministri tra il vicepremier grillino Di Maio e il suo omologo leghista Matteo Salvini, presente più per forma che per sostanza il premier Giuseppe Conte. Ma il ministro del Lavoro, «tranquillissimo», parla come se fosse tutto risolto e lui avesse solo ristabilito «la verità» verso i cittadini: «Basta la correttezza e il governo va avanti 5 anni». E a Salvini, con un avvertimento sibillino: «Sono sicuro che una soluzione la troveremo: mica si vuole far cadere il governo sul condono a chi fa autoricilaggio o riciclaggio?».

Contento che nella Lega «non ci sia la volontà di andare avanti col condono penale», Giggino però risponde a Salvini che lo accusa di non aver capito quello che «Conte leggeva e lui verbalizzava». Eh no, puntualizza il capo del M5s in diretta Facebook. «Quando mi si dice che ero distratto non ci sto. Se Salvini dice che non vuole passare per fesso, io non posso passare per bugiardo». Ha parlato di una «manina» come Craxi, ora usa la frase dell'ex presidente Scalfaro.

Ha rischiato grosso, il vicepremier, con la denuncia tv della manipolazione del decreto fiscale e la minaccia di andare in procura, che si è dissolta nel giro di una notte. Il governo ha traballato pericolosamente, con il Capitano del Carroccio ci sono stati attacchi duri come non mai. Ma Di Maio doveva farlo, perché sentiva ribollire alle sue spalle la base 5Stelle allergica ai condoni, premere l'anima di sinistra del movimento che parla per bocca di Roberto Fico («Sicuramente quel pezzo non può rimanere», avvertiva ieri), incombere dal Sudamerica l'ombra di Alessandro Di Battista (che lo ringrazia per aver evitato «porcate») pronto a prendere il suo posto. A dargli l'ultima spinta sembra siano stati segnali dal Quirinale, critici verso il dl fiscale. E si è buttato. Ora su Salvini Di Maio assicura che tutto fila liscio e «ci sono tante cose in comune», pur punzecchiandolo: «Non ci siamo potuti confrontare sul Dl sicurezza perché era in Trentino, ma non si può lamentare». Invece, il capro espiatorio lo indica nel sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti, da sempre bestia nera dei grillini. «Se sul decreto fiscale non si è fatto un preconsiglio non è per il M5s. Noi abbiamo chiesto di riunirlo, né è per il presidente Conte che non l'ha convocato. È un'altra persona che deve riunirlo, e mi fermo qui». Giorgetti, dicono fonti grilline, non avrebbe fissato la riunione per spiegare i dettagli di manovra e dl fiscale, «con la scusa del rischio di fuga di notizie». Viene accusato anche di aver introdotto di soppiatto due norme non concordate: sul condono per le società sportive dilettantistiche (lo stralcio avrebbe provocato una sfuriata del sottosegretario e il suo abbandono del consiglio, lasciando Di Maio a verbalizzare) e sui bilanci pregressi di Pantelleria. Risultato: «Durante il consiglio dei ministri sono stati enunciati i principi del dl senza entrare nei particolari». Ecco perché il condono non sarebbe stato condiviso e messo a verbale.

Vari segnali dicono che la pace sta per scoppiare, ma Palazzo Chigi cerca di mediare e precisa che sul condono c'è stato «un accordo politico» prima del

Cdm e la bozza del dl fiscale sul punto era «in bianco» per problemi tecnici. Di Maio dov'era quando si è chiuso l'accordo? «Rivedremo i regolamenti del Cdm - dice lui - così se qualcuno si distrae non ci sono malintesi».

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