Doveva essere, nelle intenzioni dello stato maggiore dei Cinque Stelle, l'occasione giusta per scrollarsi di dosso quella imbarazzante patina di dilettantismo provinciale e per accreditarsi come politici di statura internazionale.
Non è andata così. Nella totale indifferenza dei media israeliani (che della visita non paiono essersi accorti), i grillini in missione, capeggiati dall'aspirante premier Luigi Di Maio, hanno infilato una serie di gaffe, culminate ieri nella richiesta - ovviamente respinta - di accesso alla Striscia di Gaza. Di Maio e i suoi prodi reagiscono indignati: «Il governo israeliano impedisce alla delegazione guidata dal vicepresidente della Camera dei deputati di recarsi nella Striscia di Gaza per visitare il progetto di un'organizzazione non governativa italiana», scrivono in una dichiarazione collegiale. E questo, a loro dire, «è un cattivo segnale non tanto per il Movimento 5 Stelle ma soprattutto per quello che è l'approccio dello stesso esecutivo israeliano rispetto alla situazione nella Striscia di Gaza e della pace». Nientemeno.
L'ambasciata di Israele in Italia li bacchetta severamente, facendo loro notare che la striscia di Gaza, «controllata dai terroristi di Hamas», è «un'entità ostile ad Israele», e che l'ingresso è quindi regolato da «permessi specifici e speciali, soggetti a considerazioni di sicurezza». Tant'è che l'accesso da Israele viene consentito solo in casi assai limitati e di livello ben superiore a quello di un gruppetto di parlamentari di un partito di opposizione (non a caso, qualche mese fa, anche una delegazione della spagnola Podemos, che pretendeva di andare a Gaza, è stata cortesemente fermata).
La gaffe diplomatica su Gaza serve però ai grillini per dare un segnale alla propria base, in larga parte ferocemente anti-Israele, che non aveva apprezzato il viaggio nello «stato sionista» (basta farsi un giro sugli account Facebook di Di Maio e compagni e leggere i commenti dei fan per avere un'idea degli umori anti-israeliani, se non apertamente antisemiti, che vi circolano). Il messaggio insomma è: siamo venuti in Israele, ma restiamo dalla parte giusta, quella palestinese. Del resto Di Maio lo ha teorizzato apertamente, seppure goffamente, spiegando che «quando arriveremo al governo, riconosceremo lo Stato di Palestina». Per poi spiegare che Israele deve ritornare ai confini del '67 e ritirarsi dal Golan. Beccandosi una replica sarcastica di Lucio Malan di Fi: «Di Maio vuole che Israele lasci le alture del Golan: le deve dare alla Siria o direttamente a Daesh-Isis?». Chiosa Maurizio Gasparri: «Di Maio non sa neanche dove sia Quarto, visti gli esiti dell'amministrazione grillina, figurarsi se sa dove sia il Golan».
Ancor più duro il commento di Sergio Della Pergola, docente dell'Università Ebraica di Gerusalemme, che definisce «sconcertante il livello di impreparazione e di mancanza di cultura storica e
politica» dei Cinque stelle in missione. «Purtroppo non c'è nulla di nuovo: il bagaglio ideologico è quello degli anni '70. Ma da parlamentari che arrivano in questa regione ci si dovrebbe aspettare qualcosa di diverso».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.