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Di Maio si veste da premier :"Il M5s non è anti euro"

Il vicepresidente della Camera nel salotto di Cernobbio rinnega la linea grillina. E sull'Europa fa l'equilibrista

Di Maio si veste da premier :"Il M5s non è anti euro"

La decrescita felice? Le multinazionali cattive? L'uscita dall'euro? Fermi tutti: avevate capito male, il M5s non è mica così. Colpa della stampa ovviamente: «In questi anni le nostre posizioni sono state estremizzate e strumentalizzate». È Luigi Di Maio l'incaricato di Casaleggio jr per riposizionare il M5s da movimento antisistema a forza di governo in giacca e cravatta (svolta tuttavia non gradita da un pezzo del M5s). Il vicepresidente della Camera si presenta nel salotto buono di Cernobbio con un discorso farcito delle formule amate dal guru junior: l'innovazione tecnologica, la banda larga, le auto elettriche (citando e ringraziando più volte Enel, che ha gentilmente offerto le colonnine per il tour dei M5s in Sicilia), l'Italia come «smart nation». Ma soprattutto la sua missione è tranquillizzare le élite industriali: «Noi non vogliamo assolutamente né un'Italia populista né estremista né antieuropeista, il Movimento 5 stelle non è contro il giusto profitto o l'impresa. Al contrario vogliamo tutelare chi crea valore, vogliamo creare non distruggere», spiega Di Maio con una buona dose di paraculismo.

La platea è preoccupata dalle sparate di Grillo contro la politica da sostituire con la «democrazia diretta» del web? Arriva Di Maio con l'estintore: «Io credo nel primato della politica». I tabù grillini come quello delle lobby? Nessun problema: «Bisogna dialogare con i portatori di interessi». La guerra ai privilegi della casta? Sì, ma non basta: «Non sono uno di quelli che pensa che tagliando gli sprechi si risolvono tutti i problemi, bisogna liberare risorse per gli investimenti». Poi due passaggi sull'austerity che ha danneggiato l'Italia e sulla spesa pubblica che è «peggiorata», due gol a porta vuota in quella sede, e il compito è fatto. Anche se il pubblico degli imprenditori non sembra affatto stregato da Di Maio, applausi di cortesia, giudizio medio appena sufficiente, comunque apprezzato il fatto di essere venuto lì tra i «poteri forti». Lui invece è molto soddisfatto: «Si erano iscritti in molti per intervenire, peccato che non c'è stato tempo...».

Sull'euro la contorsione è da record. Il referendum sull'uscita dalla moneta unica diventa «l'estrema ratio». Di cosa? La spiegazione è fumosa, tanto che il finanziere Davide Serra (già renziano) chiede delucidazioni, ma il fumo resta: «Il referendum sull'euro va usato come peso contrattuale e come via d'uscita nel caso in cui i paesi mediterranei non dovessero essere ascoltati in sede europea, ma noi non siamo contro la Ue». Il referendum sull'euro non si può fare perché è incostituzionale, tocca ricordare a Salvini, l'altro «populista» del panel (ma anche lui molto più cauto sul no euro) insieme al governatore ligure Giovanni Toti.

Anche il reddito di cittadinanza, e le coperture miliardarie che richiede, non devono spaventare gli imprenditori, «non è una cosa apocalittica» risponde Di Maio alla domanda di Giuseppe Recchi (Telecom), perché in molti casi non sarà un sussidio integrale ma una «integrazione di reddito per chi è sotto la soglia di povertà. La domanda su una possibile alleanza M5s-Lega viene ignorata completamente da Di Maio che si dice scettico sulle probabilità di una nuova legge elettorale, mentre a fine settembre si saprà, con le primarie, il candidato premier del M5s, che a sua volta sceglierà una squadra di candidati ministri prima delle elezioni. Nei commenti in rete e sul blog di Grillo al suo intervento a Cernobbio molti candidano già lui a Palazzo Chigi.

Ma l'altra star grillina, Di Battista, avverte: «Non ci sarà una sola candidatura».

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