Roma - Tra un'intervista a Repubblica, una al Corriere, una diretta Facebook e un comizio su Sky, Gigino Di Maio tenta la risalita (per ora lontana) nei sondaggi impugnando contro l'alleato Matteo Salvini l'arma-fine-di-mondo delle manette.
Le circostanze, casuali o non proprio casuali che siano, lo aiutano: sulla Lega e il suo capo si abbattono ogni giorno nuove batoste giudiziarie, dall'arresto del sindaco leghista di Legnano all'inchiesta della Corte dei conti del Lazio sui voli di Stato del ministro dell'Interno: «Contro di me e contro la Lega c'è un attacco senza precedenti negli ultimi 30 anni», denuncia Salvini.
E i grillini si ergono a polizia morale sul modello iraniano. Di Maio grida alla «nuova Tangentopoli», chiede di votare alle Europee «contro la corruzione», ingiunge a Salvini di «cacciare tutti i corrotti». L'obiettivo, perseguito spasmodicamente e con la cortese collaborazione di una parte dei media, è quello di chiudere il gap che continua a separare, nelle intenzioni di voto, il partito della Casaleggio da quello del Carroccio. Meta ancora assai lontana, anche se meno impossibile di prima, quando l'offensiva giudiziaria non era ancora partita.
Così sul caso Legnano, una bega locale non proprio epocale, i Cinque Stelle montano un casus belli elettorale. «Il 26 maggio la scelta sarà tra noi e la nuova Tangentopoli che colpisce tutti i partiti tranne noi», avverte Gigino. Salvini replica di aver «fiducia nei miei uomini e nei magistrati», e il suo omologo grillino riattacca: «Qualcuno ha detto di aver fiducia nei propri uomini, io ho fiducia negli italiani. La Lega può dimostrare di essere diversa mettendo fuori quelli che sbagliano e cancellandoli». Poi attacca a testa bassa contro una bandiera della Lega: «Nel contratto di governo non c'è una autonomia regionale che spacca l'Italia in due, e che non credo vogliano neppure i cittadini veneti e lombardi».
Viene levata la museruola anche al vecchio Beppe Grillo, buttato sul ring con una (piuttosto sconclusionata) intervista ad un inserto del Corriere, nella quale si occupa anche di sferrare un calcio all'alleato: «Ritengo le idee di Salvini allo stesso livello dei dialoghi di uno spaghetti western. Lo manderei a calci a fare il suo lavoro al Viminale», declama l'ex comico. Il vicepremier leghista reagisce irritato: «Gli insulti quotidiani degli alleati, di Grillo e di Di Maio, mi dispiacciono perché io sono fedele, mantengo la parola, lavoriamo insieme da quasi un anno e non capisco perché da un po' di tempo per Grillo e Di Maio io sia diventato il male assoluto, anche visto che lavoriamo insieme in Consiglio dei ministri». E zittisce Grillo: «Si occupi di far ridere, che fa ridere, di sicurezza mi occupo io». Di Maio si spaventa, teme di aver spinto troppo sull'acceleratore, paventa una resa dei conti post elettorale che lo faccia uscire dalla stanza dei bottoni e tornare a casa di mamma in quel di Pomigliano.
E prova ad ammansire il ministro degli Interni, tornando a fare il tenerone: «Voglio dire all'amico Salvini: non c'è nessun attacco nei tuoi confronti, Grillo lo conosciamo: ironizza su di me, su di te, non c'è da prenderla sul personale, però mettiamo fuori chi sbaglia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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