Un malato scrive al Papa: "La sofferenza non è sacra"

Un malato scrive al Papa: "La sofferenza non è sacra"

Mentre si depositano le polveri della polemica sulla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato la non punibilità di chi aiuti un malato terminale a morire, si levano le voce dei diretti interessati, i malati. I quali sembrano apprezzare la possibilità di scegliere di togliere il disturbo in casi estremi.

Ha deciso di scrivere a papa Francesco Gianfranco Bastianello, 63 anni, da quasi 50 malato di Sla. Lui è di Cavallino, nel Veneziano, e la sua vicenda è raccontata dalla Nuova Venezia. Cattolico praticante, ha voluto far sapere al pontefice in una missiva che «quando il dolore fisico ti fa urlare ma non puoi perché non hai voce e il dolore resta facendoti impazzire, caro Papa Francesco allora comprendi che c'è un'unica via d'uscita: andartene». «Scrivo a Papa Francesco - spiega - delle conseguenze della sofferenza perché la conosco molto da vicino» (Bastianello assiste anche molti disabili) e quindi «eutanasia o suicidio assistito non sono soluzioni di comodo o sbrigative. Te lo assicuro». «Il diritto di vita o di morte - si chiede Bastianello - lo ha solo Dio? Ma Dio oltre il sopportabile non lo può permettere. La vita è sacra? Ma che sacralità c'è in questa sofferenza sempre non voluta e cercata? Nulla di sbrigativo e di comodo, ma solo il momento di scegliere, l'unica scelta».

Un altro malato che vede un po' di luce dopo la sentenza della Consulta è Gustavo Fraticelli, un uomo di 54 anni affetto da tetraparesi spastica, che al Messaggero ha raccontato il sollievo provato alla sentenza sulla non punibilità del suicidio assistito. «Per me la vita è sacra. E proprio per questo penso che quando non sia più tale e si trasformi unicamente in sofferenza, debba essere interrotta. Ho una disabilità pesante, aggravata dall'età, so che non potrò migliorare, ma dopo avere tanto lottato per la mia autonomia, non credo vorrò più vivere quando l'avrò persa.

Chiederò il suicidio assistito», dice al quotidiano romani l'uomo, che da vent'anni non cammina più e fatica a parlare, e che è stato rinviato a giudizio per istigazione al suicidio per avere aiutato nel 2017 a morire un uomo affetto da sclerosi multipla, Davide Trentini.

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