Il malore dell'autista e il guardrail fragile: nella scatola nera i metri finali del bus

Un malore. È l'ipotesi più accreditata che solo l'autopsia potrà confermare o meno per il drammatico incidente accaduto martedì sera sulla Vempa, il cavalcavia di Mestre

Il malore dell'autista e il guardrail fragile: nella scatola nera i metri finali del bus
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Un malore. È l'ipotesi più accreditata che solo l'autopsia potrà confermare o meno per il drammatico incidente accaduto martedì sera sulla Vempa, il cavalcavia di Mestre. Bassa velocità, nessun segno di frenata, nessun altro mezzo coinvolto, nessun incendio o fuga di gas a bordo. E l'autista, Alberto Rizzotto, 44 anni, fra le 21 vittime, aveva iniziato il turno solo da tre ore. A raccontare gli ultimi istanti prima che il pullman de La Linea precipitasse dallo snodo sopraelevato che collega Mestre a Venezia, a Marghera e alla tangenziale, le telecamere di sicurezza della Smart Control Room, già acquisite dai pm.

Non solo. Agli atti della Procura di Venezia, che ha aperto un fascicolo per omicidio stradale plurimo senza indagati, la scatola nera del mezzo, ovvero la registrazione dell'impianto interno che «congela» ogni dato utile all'inchiesta. «Velocità, posizione, frenatura, restano sul cloud per sei mesi» spiega Massimo Fiorese, ad della società proprietaria del bus. «La scatola nera mantiene in memoria registrazioni continue di quello che accade all'interno e all'esterno», conclude. Ma è polemica sulle protezioni a dir poco inadeguate della sopraelevata. «Una ringhiera, non un guard rail», dice Fiorese. Per Giordano Biserni dell'Asaps, Associazione amici polizia stradale, «un guard rail a unica onda alto un metro e mezzo e non il triplo, come sarebbe stato necessario per veicoli che possono raggiungere le 18 tonnellate». Dalle immagini delle telecamere si vede il pullman salire lentamente lungo la parte destra della rampa, sbandare per 50 metri e sfondare il parapetto precipitando prima sui cavi elettrici, per poi finire lungo la ferrovia dove si capovolge e prende fuoco. Com'è possibile che un pullman, per quanto dal peso di 13 tonnellate perché elettrico, possa aver spazzato via la barriera di protezione tagliandola come fosse burro?

Già dalla notte della tragedia sul punto dell'incidente sono stati posti dei jersey in cemento. «Certo, non è stato il guard rail ad andare addosso al pullman, però sicuramente quel guard rail», prosegue l'ad de La Linea. La Vempa, un'infrastruttura vecchia e disastrata ma fondamentale per la viabilità locale, da tempo è in fase di ristrutturazione. «Un progetto - spiega l'assessore comunale ai trasporti Renato Boraso - del costo di oltre 6 milioni di euro. Nel piano è compresa anche una nuova barra di protezione a difesa dalle uscite di strada». Sul fine lavori, però, nessuna data certa. «Quel guardrail è vetusto - conclude l'assessore -. Sapevamo di dover mettere in sicurezza il cavalcavia». Ma nel tratto in cui il mezzo pesante è uscito di strada i lavori non erano ancora iniziati. Realizzata nei primi anni del 900 e più volte ristrutturata, la Vempa è un grande incrocio a «T» sopraelevato che collega il centro di Mestre al Petrolchimico attraverso la tangenziale che raggiunge, poi, il resto della provincia. Venendo dal centro è il proseguimento di corso del Popolo. Dalle altre direzioni vi si accede, invece, attraverso una serie di rampe, ognuna con un nome. È sulla rampa Giorgio Rizzardi che è accaduto il dramma, sopra via dell'Elettricità.

Presi a verbale anche i vari testimoni che hanno prestato aiuto ai feriti. «Il bus andava piano», giurano. Il primo ad accorrere è l'autista di un altro bus che lancia un estintore. Un secondo mezzo che aveva affiancato, ma non toccato, il pullman. «Rizzotto guidava da 3 ore e mezzo, peraltro non di continuo - precisa Tiziano Idra, direttore della compagnia -. Non lavorava dal giorno prima, quindi aveva goduto delle ore di riposo previste. Non era certo stanco». Ventuno le vittime delle quali solo otto identificate, due bambini, il più piccolo di un anno e mezzo. Una strage di giovani turisti.

Fra gli otto identificati una ragazzina di 11 anni, una ragazza di 28 anni, due donne di 30, una di 38 e due signore di 65 e 70 anni. Senza documenti le altre 13 vittime, quasi tutte morte carbonizzate. Per la loro identificazione sarà necessario il test del Dna.

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