Annunci continui di un attacco russo imminente, date precise di un'invasione dell'Ucraina che finora - e per fortuna - non si è materializzata. Supportata dalle conferme della Nato di una escalation militare russa, la strategia di Joe Biden è di tenere alta l'allerta sulla crisi internazionale più delicata dai tempi della Guerra Fredda, di avvisare gli americani e il mondo del rischio concreto di una guerra mondiale e il Cremlino che le sue mosse militari sono sotto osservazione e non possono essere negate. Mosca in più occasioni si è presa gioco delle «false» previsioni di Washington, dopo che l'ultima data, il 16 febbraio, è andata «bruciata» senza un casus belli, mentre anzi la diplomazia si muoveva freneticamente per una soluzione politica e un accordo Mosca-Washington.
Ma la strategia americana dei continui annunci, degli avvertimenti di rischio estremo, oltre che plausibile come dimostrano le foto satellitari e le informazioni di intelligence, finora ha ottenuto qualche risultato, per il quale Biden è stato elogiato in patria, riscattandosi fin qui dal disastro Afghanistan. L'Amministrazione americana non solo ha rotto un eventuale effetto sorpresa che sarebbe stato utile a Mosca, ha compattato gli alleati di fronte a un «alto rischio» comune e con una retorica di «attacco imminente» ha spinto Putin verso l'obiettivo opposto. Se davvero il nuovo «zar» vuole sorprendere l'Occidente, meglio che si muova per la pace . C'è un rischio, tuttavia, in questa retorica della guerra imminente, in questa oscillazione continua fra la guerra e la pace, fra gli annunci di un possibile attacco a breve e il sollievo per un altro giorno che passa senza un conflitto in Europa. È il timore - o l'auspicio in caso di trattative concrete - che le cose vadano per le lunghe. È uno scenario che ieri ha prospettato la ministra degli Esteri britannica Liz Truss, spiegando che Putin «potrebbe trascinare la crisi ucraina avanti per mesi». E porta con sé il rischio che gli annunci di Biden, sul lungo termine, provochino un effetto assuefazione, oppure peggio, un effetto rigetto, non solo nell'opinione pubblica americana e occidentale, ma anche fra gli ucraini che da tempo chiedono di evitare scenari catastrofici. È un rischio non del tutto secondario, specie in una guerra che potrebbe combattersi in maniera ibrida o asimettrica, con attacchi hacker e ripicche economiche, ancora più che sul campo. Sul lungo termine, la mancata invasione - che pure gli Stati Uniti si augurano - regalerebbe un assist a Mosca. Non a caso il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha parlato ieri «di menzogne che hanno riempito lo spazio mediatico», accusando gli Stati Uniti di disinformazione o guerra di propaganda, pur essendone Mosca da tempo fra i migliori protagonisti. Ma c'è di più. Nell'intelligence americana e fra gli analisti militari comincia a serpeggiare un certo nervosismo per la diffusione di informazioni e previsioni di intelligence, date in pasto all'opinione pubblica senza troppi filtri. Se da una parte sono servite finora a tenere alta la tensione e a orientare le mosse di Mosca, dall'altra la loro diffusione potrebbe aver spinto il Cremlino a cambiare piani e a restituire l'impressione finale che gli allarmi siano infondati, specie in un contesto di trattative e logoramento capace di protrarsi per settimane o mesi.
Un rischio Iraq, come per gli annunci sulle armi di distruzione di massa ai tempi di Saddam Hussein, anche se qui le armi ci sono davvero, il dubbio è se verranno usate per una guerra. Infine c'è il rischio che a diffondere così tanti dettagli, i russi individuino talpe e gole profonde. Biden deve riscattare il disastro Afghanistan, ma l'Ucraina nasconde ancora parecchie insidie per la Casa Bianca.
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