Otto generazioni, due secoli di storia, da Napoleone a Macron, Peugeot è la Francia, una Francia non statalista come quella di Renault, una azienda privata a tutti gli effetti, un capitalismo discreto, senza eccessi mediatici, lontano dallo star system, vacanze in luoghi m ai plateali, scuola pubblica per i figli,pudore, lavoro, soldi, mais oui, soprattutto impegno quotidiano nel sociale: «nella vita occorrono chiodi per fissare, martelli per battere e tenaglie per stringere» è una didascalia, un motto di una dinastia che non ha mai mutato atteggiamenti e comportamenti, pur attraversando quattro profonde crisi, economiche e sociali, però sempre uscendone con dignità e silenzio, compreso un violento fatto di cronaca che portò al rapimento di Eric, sequestrato nel parco giochi del golf club di Saint Cloud. Eric aveva quattro anni e mezzo, due malviventi parigini chiesero e ottennero 50 milioni di vecchi franchi per liberarlo, il bambino tornò a casa quarantotto ore dopo, la coppia di rapitori, per undici mesi se la spassò, però in modo vistoso, certi conti di alberghi, ristoranti e negozi a Megève li incastrarono, la condanna fu di 28 anni di carcere. Anche in quell'occasione i Peugeot non si prestarono al gioco mediatico, nessuna intervista, nessuna esibizione in tivvù, si rifugiarono per un anno nel dipartimento di Doubts. Mai una donna fu menzionata nell'albero genealogico almeno fino agli anni Ottanta ma una folla di maschi, di eredi, di figli, di nipoti, di cugini, tutti coinvolti nel lavoro, in principio un mulino, quindi l'industria tessile, le divise dei soldati della Grande Armata, quella artigianale del legno, l'utensileria, l'acciaio, le lame dentate delle seghe da falegnameria, le stecche per le guepieres e per gli ombrelli, le macchine per cucire, e su tutto e tutti il logo, creato da un orafo incisore, monsieur Justin Blazer che scelse il leone, di stile gotico medievale, il leone, rampante su una freccia che indica una missione non un traguardo. Protestanti luteriani, severi, rigorosi, i Peugeot hanno in comune con gli Agnelli non soltanto l'automobile, l'industria, la produzione di veicoli. Ma il football. Perché Jean Peugeot fondò nel 1928 il Sochaux, club professionistico, aggettivo ignoto ai più al punto che la federazione calcistica francese non colle riconoscerlo e allora Jean se ne infischiò, allestendo un campionato a otto, tutti pagati con salario regolare, per i tempi. La rivoluzione costrinse il governo calcistico transalpino a istituire un regolare campionato due anni dopo. A Jean-Pierre III l'ispirazione arrivò dalla Juventus-Fiat e dalla Philips che foraggiava il Psv di Eindhoven e dalla Bayer che era scesa in campo con il Leverkusen. Pane e giochi, dunque, case popolari per i lavoratori, assicurazione sociale, un ospedale a Rocher per il ricovero dei dipendenti malati o vittime di infortuni sul lavoro, una visione ultramoderna che aveva già portato i Peugeot, nel 1871, a decidere la riduzione dei tempi di produzione e di lavoro, a dodici ore giornaliere. Armand Peugeot, ingegnere, decise di abbandonare la prudenza del cugino Eugene, secondo il quale non ci sarebbe stato futuro per il motore a scoppio, dunque per le automobili. Creò una società distinta, da quella tessile e artigianale di velocipedi, biciclette, tricicli e affini, buttandosi sul motore, prendendo a prestito quello a scoppio del tedesco Daimler ma prima ingegnandosi in uno a vapore, roba preistorica presentata all'Esposizione Universale di Parigi, tre ruote, velocità massima chilometri 14. Ma era ormai la svolta, la Grande Guerra significò la produzione di camion, carri, auto, biciclette, bombe, armi, l'industria bellica non ha etica ma porta profitti, la Francia ne aveva bisogno. Ma il dopoguerra fu tormentato, la concorrenza britannica e americana portò la fabbrica francese a una pesante crisi finanziaria. Accade anche nel secondo conflitto mondiale quando Peugeot non affiancò le richieste di armamento dei tedeschi, le fabbriche vennero sabotate, la famiglia mantenne la testa alta, chiodi, martelli, tenaglie. L'ingresso di investitori cinesi è stato tenuto a bada, Peugeot resta tale e quale dopo due secoli, alcuni modelli sono diventati cimeli, la 504 del 1977, chilometri 37 mila sul tachimetro, valore di mercato euro duemila, appartenuta al presidente iraniano Ahmadinejad, è finita, in un'asta di beneficenza, a un compratore arabo che ha versato due milione e mezzo di dollari. I numeri sono tutto per Peugeot.
Quando Porsche presentò al salone di Parigi del 1964 il modello 901, la famiglia Peugeot inviò una diffida per lettera all'azienda di Stoccarda, ricordando che dal 1929 le tre cifre, con uno zero in mezzo, sono di esclusiva della casa francese. I tedeschi si arresero, la 901 venne cambiata in 911. Il leone Peugeot non vuole finire in gabbia. Ciodi, martelli e tenaglia. Sempre
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