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Mascherina al braccio senza senso

Mascherina al braccio senza senso

Due gomiti che si toccano come surrogato della bandita stretta di mano, due lembi flosci di cotone che si sfiorano. Accade anche questo nelle complesse combinazioni che riguardano, più che l'uso, l'abuso della mascherina. Se i «no mask» non la indossano per un malinteso senso di sfida alle regole del sistema, bisogna anche fare i conti con chi si limita a portarsela appresso, come il casco da infilare in moto appena si scorge la polizia stradale.

Il plotone dei virologi non si è soffermato sui possibili rischi di contagio generati da chi si fissa la mascherina al braccio anziché calzarla sul viso. Forse è un tema più di costume che di prevenzione sanitaria, chi lo sa. Fatto sta che l'abitudine si sta moltiplicando, un misto tra comodità e segno distintivo. Un'estate così torrida non è certo lo scenario climatico ideale per indossare giacche o giubbotti multitasche dove riporre la protezione. Ed ecco che il doppio elastico diventa lo strumento ideale per fissarsela al braccio quando non è necessario o lo consiglia il buon senso. Uno strano effetto da fascia da capitano, una piccola protuberanza dell'abbigliamento che ridisegna le sagome di chi la esibisce.

Nella visione di una società occidentale avanzata vale sempre il principio per cui le libertà individuali si possono espandere finché non urtano quelle altrui. E a costo di passare per snob o pedanti rompiscatole alla Furio di Carlo Verdone, si può anche dire che quelle pezzuole che quasi ti lambiscono per strada o nelle zone più affollate provocano un istintivo senso di ribrezzo. E non è neppure una questione di stomaci delicati, siamo tutti attrezzati per sopportare senza disgusti eccessivi anche questo nuovo piccolo fenomeno sociale. All'aria aperta passi, ci si incrocia e non ci si rivedrà mai più. Ma al ristorante la mascherina al braccio è rigorosamente da evitare. Lasciamo perdere la scienza e magari rispolveriamo il galateo e quel poco che ne resta nella progressiva cafonizzazione dei comportamenti collettivi.

Immaginate di trovarvi in un ristorante nel vostro tavolo debitamente distanziato. Quindi al sicuro e al massimo osservatori di ciò che accade intorno. L'attenzione cade su quella allegra tavolata da dodici, pure simpatica e per nulla chiassosa. Volti lucidi dopo una giornata di sole, risate rilassate. Dodici persone che sfogliano i menù (fuori norma anche quelli plastificati) quasi sbirciando attraverso mascherine di ogni tipo. Poi ordinano al cameriere che, per farsi intendere meglio, la abbassa sotto il mento e li seppellisce con un diluvio di parole a meno di un metro. Quando si allontana per dirigersi in cucina, ecco che scatta il rito collettivo: la mascherina finisce sul gomito. E la serata prosegue: mangiano, ridono, si divertono e ognuno sfiora l'altro commensale con la protezione che ha tenuto in giornata davanti a bocca e naso.

Diventa impossibile regolare comportamenti di massa e financo ridicolo sfiancare di raccomandazioni secondarie chi per lo meno si attrezza a rispettare le norme. Ma almeno, per favore, fate una riflessione.

Risparmiateci l'obbrobrio della mascherina che penzola dal braccio.

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