Solo nel palazzo vuoto, figli e nipoti lontani, niente pranzi di famiglia, pochi consiglieri che ogni tanto si affacciano sulla soglia dello studio. Pasqua diversa per Sergio Mattarella, ma il tempo scorre veloce perché, come ha spiegato sabato nel messaggio agli italiani, la fase due incombe. «Sono ore difficili, tuttavia in questi giorni intravediamo la possibilità concreta di superare l'emergenza». Dunque c'è molto lavoro da fare, dalle telefonate internazionali per preparare il terreno al negoziato con l'Europa, ai contatti con maggioranza e opposizione per riannodare almeno uno straccio di dialogo. I rapporti tra governo e centrodestra sono interrotti, però il capo dello Stato insiste alla ricerca di una tregua. Lo scrive persino nella lettera al Papa: «Nel silenzio di piazza San Pietro particolarmente forte è risuonata l'eco del suo altissimo appello ad abbandonare ogni egoismo illusorio e a percorrere con coraggio la via del servizio».
Ecco, la sua idea etico-politica di una nazione che funziona sta in quella parola, «servizio», che dovrebbe essere il Vangelo per ogni funzionario pubblico e la chiave di volta per affrontare al meglio la riapertura. Comunità, collaborazione, senso di responsabilità, condivisione delle proposte. Ma la pace è durata poco, anzi di giorno in giorno la litigiosità aumenta. Conte non ascolta l'opposizione, Salvini alza i toni, le Regioni vanno ognuno per conto di loro. Il presidente è deluso.
Per non parlare della task force per la ricostruzione. Vittorio Colao, manager di respiro internazionale, uno abituato a comandare, ha avuto il via libera dal Colle che lo considera il profilo perfetto per riaccendere il Paese. Peccato che ora il premier subisca il peso della sua personalità e abbia paura di essere commissariato, quindi lo sta già depotenziando. Quella dell'ex amministratore delegato di Vodafone doveva essere una struttura snella, invece si è gonfiata fino a 17 componenti. Doveva avere deleghe ministeriali, capacità di azione e decisione, invece rischia di finire invischiata, impastata e travolta dalla burocrazia dei palazzi. Doveva muoversi come una fattiva cabina di regia, invece può mestamente trasformarsi in un ufficio studi. Sempre che Colao al primo intoppo non sbatta la porta. E poi tutte le altre scelte ancora da prendere: i test sierologici per le patenti di immunità, i protocolli di sicurezza per poter riaprire i luoghi di lavoro, i soldi promessi che non arrivano.
Però Mattarella vuole essere ottimista, convinto che la prima condizione per ricreare un clima di collaborazione sia mantenere la calma e il senso della misura. «Coltiviamo speranza e fiducia», ha detto nei sui auguri pasquali. Del resto ci ha lavorato sopra per settimane, pressando governo e opposizione, per ottenere la tregua necessaria per costruire un tavolo di consultazione, una war room condivisa per affrontare la crisi. L'armistizio ha retto, un po', per la gestione della prima emergenza, ora il castello è franato ma il capo dello Stato non si arrende.
Intanto i cittadini, dopo più di un mese di clausura e in vista di una lunga stagione di fame, scalpitano. Il presidente ha chiesto loro pazienza. «I sacrifici che stiamo facendo da oltre un mese - ha detto sabato - stanno producendo i risultati sperati.
Non appena possibile, sulla base di valutazioni scientifiche e le indicazioni che verranno stabilite, si potrà avviare una graduale, progressiva ripresa, con l'obbiettivo di una ritrovata normalità». Ma perché funzioni e si arrivi davvero alla fase due, per Mattarella i sacrifici devono farli pure i politici: basta insulti, tornate a parlarvi.
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