Matteo Renzi si dimette: "Ma lascio dopo l'insediamento del governo"

Il segretario del Pd si dimette. "Ma congresso e primarie solo dopo la formazione del governo. Poi farò soltanto il senatore" Scontro aperto tra i dem: "Vuole prendere tempo"

Matteo Renzi si dimette: "Ma lascio dopo l'insediamento del governo"

Alla fine Matteo Renzi ha scelto il passo indietro. O quasi. Già perché il segretario del Pd lascia, ma soltanto dopo l'insediamento del nuovo governo. Una scelta che ha aperto uno scontro allo stesso Partito democratico, coi renziani che puntano il dito contro "gli inciucisti" e le altre correnti che accusano il leader di voler solo prendere tempo.

"Abbiamo riconosciuto che si tratta di una sconfitta netta che ci impone di aprire una pagina nuova all'interno del Pd", ha ammesso oggi Renzi in una conferenza stampa rimandata di un'ora e mezza. Tutta colpa - sostiene - di una campagna elettorale in cui "siamo stati fin troppo tecnici" e di "un vento estremista che nel 2014 siamo riusciti a incanalare, comprendiamo come il risultato sia davvero deludente". Quindi la decisione di dimettersi, "come previsto dallo Statuto". Ma solo dopo l'insediamento delle Camere e "la formazione del nuovo governo". In sostanza: sarà lui a guidare i dem nella fase di transizione e nelle consultazioni al Quirinale per la scelta del nuovo premier.

Poi si aprira la fase congressuale: "Un congresso che a un certo punto permette alla leadership di fare ciò per cui è stato eletto. Non un reggente scelto da un caminetto, ma un segretario scelto dalle primarie", ripete più volte Renzi.

Per il momento, però, il Partito democratico resterà all'opposizione: "Abbiamo detto in campagna elettorale no a un governo con gli estremisti. Non abbiamo cambiato idea nel giro di 48 ore", sottolinea, "Se noi siamo quelli con le mani sporche di sangue, fate il governo senza di noi. Il Pd, nato contro i caminetti e le forze antisistema, non diventerà la stampella per le forze antisistema, magari con decisioni prese a porte chiuse".

Una mossa, sostengono i renziani, per bloccare la minoranza dem che - pare - aveva già dato la disponibilità ai Cinque Stelle ad aprire un confronto nel caso di dimissioni di Renzi attraverso un "reggente" nominato per la fase di transizione e che avrebbe avuto come compito quello di affossare l'attuale segretario, escludendolo anche dalle consultazioni. In gioco c'era - sostengono le fonti - la terza carica dello Stato: la poltrona del presidente della Camera.

Ma la mossa ha scatenato la rivolta all'interno del partito. Non solo delle minoranze, ma anche dei "big", che criticano apertamente la decisione di renzi. "Trovo fuori dal mondo l'idea che la responsabilità della sconfitta sia di Gentiloni, Mattarella (per voto 2017) e di una campagna troppo tecnica", ha affermato Carlo Calenda. Mentre Andrea Orlando critica la scelta di trincerarsi fino alla nomina di un nuovo governo: "È la sconfitta più grave, no al bunker", dice, "Subito la parola agli iscritti". Ancora più esplicito l'ex capogruppo al Senato, Luigi Zanda: "La decisione di Renzi di dimettersi e contemporaneamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile. Serve solo a prendere ancora tempo.

Veltroni e Bersani si dimisero e basta". "Bisogna cambiare, non solo un segretario prima che sia tardi", dice inceve Gianni Cuperlo. Lunedì prossimo la direzione Pd che potrebbe sancire la resa dei conti definitiva.

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