Fabrizio Zanetti è l'uomo del miracolo Melegatti. Il secondo per la verità. Il primo era successo a Natale, quando i dipendenti avevano lanciato la campagna social per salvare l'azienda, per chiedere ai consumatori di comprare il pandoro. E l'Italia aveva risposto in massa, a comprare un pandoro Melegatti. L'azienda era salva. Ma il futuro rimaneva un grosso punto di domanda. Nessuna assicurazione e tanta paura di fallire. La cassa integrazione e le serrande abbassate. I giornali che raccontano la storia commuovente dei dipendenti che gratuitamente vanno ogni mattina a tener vivo il lievito madre. La partita che tutti davano per persa. Poi la notizia che nessuno si aspetta: il colosso Hausbrandt, di Fabrizio Zanetti arriva in soccorso.
Perché avete comprato Melegatti?
«Per salvare i dipendenti, per non disperdere quel valore e quel coraggio che hanno dimostrato in questi mesi. In questa operazione c'è tanto cuore».
Senza quella compagna di Natale quindi non vi sareste interessati a Melegatti?
«No. Non siamo abituati a fare grandi acquisizioni. E l'ho detto anche ai dipendenti: questo è un matrimonio. Non siamo una banca. Abbiamo un nome che è fatto dal lavoro quotidiano di tante persone. Lo stesso impegno che abbiamo ritrovato in questi dipendenti, in quelle maestranze che si sono rimboccati le maniche, che nei momenti di crisi invece di piangersi addosso hanno spinto sull'acceleratore, insomma che ci hanno messo la faccia e i loro sforzi, personali. Noi cerchiamo esattamente questo e siamo andati ad aiutarli».
Puntate tutto sul capitale umano?
«Esattamente. Non è solo il marchio, il brand. Quello su cui vogliamo fondare il lavoro è proprio la passione del fare bene le cose. È questo che rende grande un'azienda. È il motivo per cui gli italiani hanno risposto all'appello di solidarietà. E io non voglio disperdere questo capitale».
Una favola da anni '50?
«Si proprio quella. Abbiamo atteso con pazienza, poi giovedì il ritiro dei fondi e così siamo usciti allo scoperto. È stata una società maltrattata. Ora basta».
Quindi i 150 dipendenti sono tutti salvi?
«Sicuramente. Tra loro ci sono dipendenti con 40 anni di storia. Una ricchezza notevole».
A questo punto bisognerà dare un premio a chi tenuto vivo il lievito madre?
«Li abbiamo già ringraziati personalmente e sicuramente daremo loro delle gratificazioni. Hanno tenuto salda una squadra».
Lei che è tra i dirigenti più giovani d'Italia che parla di tradizioni e di valori antichi non le sembra un po' strano?
«Ho 35 anni e guido l'azienda da quando ne avevo 21. Ho capito però fin dall'inizio che le persone che fanno un'azienda sono tutto».
Un ragazzino con una responsabilità enorme.
«Tutto merito di mio padre. Purtroppo la malattia l'ha costretto a lasciare. Mi ha dato le chiavi in mano. Io non volevo deluderlo. E per non fallire mi sono circondato di un team eccezionale. Mi faccio aiutare io. Non voglio sembrare un super eroe».
Eppure ieri ai cancelli Melegatti sembrava proprio un supereroe, osannato come un salvatore, che effetto le ha fatto?
«Mi sono emozionato. Ho stretto le mani a tutti. Sono loro i veri eroi. In questi mesi nessuno si è fermato a parlare con loro».
Quando riaprirete?
«Un paio di settimane, i tempi tecnici. Ho già versato un milione per la campagna delle colombe. Ora aspettiamo che prendano il volo».
Obbiettivi?
«Dobbiamo lavorare sodo, e so che lo faremo. Ma il vero punto è preparare un grande Natale 2018. Sogno grandi cose, voglio creare un grande polo del gusto. Caffè e dolci di altissimo livello, abbiamo 250 venditori che già friggono per distribuire il prodotto, e una rete di 15mila punti vendita».
Cosa hanno le due aziende in comune?
«Due anni di differenza di nascita una dall'altra.
Noi nel 1892 a Trieste, Melegatti nel 1894 a Verona. Praticamente sorelle. Siamo sopravvissuti al passare del tempo, alle crisi e alle guerre, siamo diventati grandi, siamo un pezzo d'Italia e orgogliosamente lo vogliamo continuare a dimostrare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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