Lunedì, dopo un vertice di maggioranza che dovrebbe tenersi domani su richiesta di Di Maio, il premier Conte sarà in Parlamento a riferire sull'accordo europeo per la riforma del Fondo Salva Stati. Accordo, ha spiegato ieri l'ex ministro Tria, è stato trattato e già modificato nel giugno scorso dal precedente governo, e quindi con l'avallo del premier (sempre Conte) e dei suoi vice, all'epoca Di Maio e Salvini. La polemica montata in questi giorni, sottolinea Tria, è dunque «pretestuosa» e «non sta in piedi».
Ma la buriana propagandistica scatenata sul Mes serve a Salvini per ragioni politiche: gettare scompiglio nelle confuse file grilline e insinuare un cuneo nella maggioranza. Operazione non difficilissima, a dire il vero: non più di infilare un coltello nel burro. «Di Maio - dice il capo della Lega - l'ha sempre pensata come noi. Quello che le dico io ora lo diceva lui con le stesse parole e con gli stessi contenuti. Nel programma dei Cinque Stelle si parla di liquidazione del trattato».
E infatti Gigino Di Maio è immediatamente entrato in agitazione, chiedendo modifiche e imponendo un vertice di maggioranza, che dovrebbe tenersi domenica. Al quale, fa sapere la velina del capo grillino, Di Maio metterà sul tavolo la richiesta di rinvio della firma definitiva del Mes «a primavera». Cosa che, dice il ministro degli Esteri, secondo «alcuni diplomatici» non meglio precisati, con cui si sarebbe intrattenuto «al telefono», «si può facilmente» ottenere, vincolando «la firma alla cancellazione di alcuni punti critici». La Casaleggio, in appoggio a Gigino, ha tirato fuori dal cassetto anche il solito Di Battista, spedendolo a mo' di kamikaze ad annunciare che «bisogna alzare il tiro sul Mes», che chissà cosa pensa sia. Il leader Pd Zingaretti avverte gli alleati: «A partire dalle posizioni sul Mes si capirà se ci sono le condizioni per andare avanti» con il governo.
Tanto per aumentare il chiasso e lo scaricabarile, anche i prodi bersaniani di Leu si accodano al grillismo che riscopre l'anima No Euro e paraleghista: «Ha senso l'ipotesi di un rinvio volto a favorire una valutazione di pacchetto», dice confusamente il malinconico ministro Roberto Speranza.
In verità, il rinvio ci potrebbe essere sul serio, ma l'Italia c'entra poco: Malta, secondo voci diffuse ieri sera, potrebbe chiedere (causa crisi di governo) di rimandare il Consiglio europeo del 12 dicembre prossimo, che dovrebbe dare il via libera definitivo. Regalando un po' di tempo in più al governo Conte, la cui maggioranza è in fibrillazione. «Non possiamo lasciare la battaglia no-euro a Salvini», è stato l'affannoso messaggio di Di Maio ai suoi. Che però sono come sempre spaccati, con l'ala governativa che appoggia la linea Conte e smentisce Dibba e (indirettamente) Di Maio: «Di Battista è un semplice cittadino, la sua linea non è quella del Movimento cinque Stelle: ci sono criticità, poi esiste la realpolitik», spiega Stefano Buffagni, viceministro allo Sviluppo.
Salvini minaccia: «Se qualcuno ha firmato qualcosa senza dirlo agli italiani ne pagherà le conseguenze».
Ma il ministro degli Affari europei, il dem Vincenzo Amendola, ricorda che il lungo processo della trattativa è stato seguito passo passo dal Parlamento e che tutto il governo (Salvini incluso) ne era informato: «E' una trattativa che va avanti dal dicembre scorso, gestita dal governo uscente, e tutto il Parlamento ne era a conoscenza», e per altro «sarà chiamato a ratificare il trattato», dopo la sua definitiva approvazione da parte dei governi. Il segretario Pd Zingaretti avverte gli alleati: «
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