Una visita lampo di appena due giorni ma dal significato simbolico importante. È arrivato ieri in Messico il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson raggiunto in serata da John Kelly, responsabile della sicurezza nazionale, proveniente dal Guatemala. Tra gli incontri in agenda anche quello col presidente Enrique Peña Nieto, su cui si ripongono molte aspettative. Fin dall'insediamento di Donald Trump, infatti, le relazioni tra i due Paesi sono tesissime. Sotto accusa la questione del muro al confine, annunciato e reso attuabile grazie ad un decreto legislativo con l'intento di frenare i migranti illegali negli Stati Uniti - che nel solo 2016 sono arrivati a quota 11 milioni, molti dei quali messicani - anche se non va dimenticato che le «barriere di protezione» o fences erano già state introdotte dalla presidenza democratica di Bill Clinton ed avallate poi dal Secure Fence Act del 2006, votato pure da Hillary Clinton e da Barack Obama.
Proprio per le dichiarazioni di Trump sul muro, Peña Nieto aveva annullato il primo incontro ufficiale previsto tra i due a gennaio. La visita di Tillerson e Kelly ha, dunque, tutto il sapore di un tentativo di smorzare i toni anche se il potentissimo ministro degli esteri messicano Luis Videgaray è lui più di Peña Nieto il vero deus ex machina nel suo Paese - ha già fatto sapere che il suo governo «non intende accettare imposizioni unilaterali degli Stati Uniti».
La questione emigrazione sarà dunque uno dei temi cruciali di questo atteso incontro. Anche perché Trump ha annunciato un nuovo ordine esecutivo sull'immigrazione, una riformulazione del precedente che dopo essere stato bocciato dai giudici federali è ora alla Corte Suprema. L'inquilino della Casa Bianca, insomma, è stato consigliato dai suoi fedelissimi di evitare un rischioso braccio di ferro col massimo organo giudiziario Usa.
Sull'incontro di queste ore in Messico alberga molto scetticismo. Il quotidiano Usa Today titola che più chiaro non si può: «Mission impossible». Peggio ancora la stampa messicana, dove gli annunci di Trump sono trattati alla stregua di vere e proprie dichiarazioni di guerra. E tra i più agguerriti c'è sicuramente il todo poderoso Videgaray, che poco dopo la vittoria di Trump aveva già definito gli Usa una «nazione ostile» e per il quale il Messico è «pronto ad andare all'Onu pur di tutelare i propri cittadini emigrati negli Stati Uniti», compresi milioni di clandestini.
Non a caso lui in persona ha rifiutato nelle ultime ore il piano Usa in base al quale il Messico doveva accettare sul suo territorio anche tutti gli immigrati non messicani espulsi da Washington. Il no secco di Videgaray ha fatto sì che Kelly sostituisse all'ultimo minuto il Guatemala al Messico nel nuovo piano. Ma in questo vertice lampo che si preannuncia rovente (anche se ieri Tillerson ha parlato di «incontro produttivo»), si parlerà anche delle modifiche che Trump vuole apportare al Nafta - lo storico accordo entrato in vigore il 1° gennaio 1994 che prevede il libero scambio tra le due economie - dopo il richiamo in patria delle più importanti aziende automobiliste made in Usa. E si parlerà pure di droga.
Da quando Trump si è insediato, infatti, gli omicidi legati al narcotraffico in Messico sono aumentati del 38% e la cooperazione tra le intelligence dei due Paesi ha chiaramente bisogno di non essere schiacciata da tensioni politiche.
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