Stretti tra l'esuberanza di Carlo Calenda e le «tre punte» del centrodestra nel dibattito politico del Forum Ambrosetti di Cernobbio, Giuseppe Conte ed Enrico Letta, ieri hanno fornito una prestazione sottotono, come del resto pare tutta la loro campagna elettorale quando non si riduca alla pura invettiva. Lo dimostra la freddezza della platea nei confronti dell'ex premier grillino e del suo traballante collegamento video (un contrappasso per il re delle dirette Facebook) e del segretario del Pd.
Quest'ultimo si è conquistato comunque una discreta razione di applauso sbandierando il convinto sostegno a Mario Draghi (e il fatto che in un recente sondaggio il 55% degli elettori di centrosinistra si riconosca nell'ex premier è emblematico). Con le elezione, ha detto Letta, «il futuro è in gioco». Il Pd è pronto ad ascoltare le istanze del «mondo imprenditoriale che bisogno di una Pa in grado di dare risposte». Ha rimarcato che i piddini sono stati «i più lineari» nell'appoggio al governo Draghi e «la responsabilità di chi l'ha fatto cadere è grave». Poi, l'ovvia riconferma dell'europeismo e delle alleanze internazionali. «Siamo seri e affidabili per il progresso del Paese», ha aggiunto menzionando solo di sfuggita gli altri due alleati +Europa e i rossoverdi che la platea di Cernobbio vede come il fumo negli occhi.
Poi, una breve digressione sui tre pilastri del programma: energia (rigassificatori, rinnovabili, raddoppio del credito d'imposta sulle bollette delle imprese e tetto ai prezzi del gas), tasse («Bisogna incentivare chi lavora e chi dà lavoro») e, infine, il Pnrr. «È la stella polare infrastrutture, del Sud e dell'occupazione giovanile, per questo diciamo alla sua rinegoziazione in quanto la questione dei prezzi energetici è già ricompresa», ha tagliato corto.
Il direttore del Corriere, Luciano Fontana, l'ha incalzato sull'onnipresenza piddina negli ultimi governi escluso il Conte I. Letta ha cercato di ironizzare. «C'è chi ci dipinge come la safety car, la protezione civile della nostra politica», ha rilevato ma «io rifiuto questa idea: se vinciamo, governiamo e se perderemo all'opposizione», ha concluso. Una promessa? Difficile da stabilire se sarà mantenuta giacché lo stesso segretario ha ribadito che «il Pd è stato costretto a governare» e che «senza Pd in pandemia le cose sarebbero andate peggio». Insomma, un'emergenza in grado di risospingere il Nazzareno a Palazzo Chigi si può sempre trovare.
Ancor più mesto, invece, il discorso di Giuseppe Conte, tutto proteso a riaffermare la validità delle misure pentastellate dinanzi a una platea non certo amica. «Cancellare il reddito di cittadinanza - ha affermato - è fare la guerra ai poveri». L'inflazione non deve essere una scusa per «politiche di austerity» e l'extra-deficit è un'arma per «proteggere il tessuto sociale».
Poi, una articolata spiegazione sul no all'agenda Draghi. «Non la vedo ancora scritta» e «non può essere il contenuto programmatico di un'azione di governo in una situazione di emergenza». I punti sottoposti al premier prima che si aprisse la crisi, ha ricordato, «non erano un prendere o lasciare bbe sempre tornare utile ma punti su cui confrontarsi e che richiedevano una risposta del governo e delle forze politiche».
Pertanto, «è pericoloso che delle forze politiche che dovrebbero assumersi la responsabilità di fornire una guida al Paese, si rifugino in un metodo quando lo stesso interessato» non si è espresso «su un possibile rinnovo di un impegno di governo», ha chiosato.
Il metodo Draghi, ha concluso, «è emergenziale: chi lo sposa o vuole cancellare le elezioni o si deve rassegnare ad assumersi delle responsabilità». Né Letta né Conte né Calenda si sono attaccati reciprocamente. L'agenda di Mario potrebbe sempre tornare utile.
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