
"Sfortunato è l'uomo che volendo possedere una scarpa dovette prendersi l'intera donna", diceva lo scrittore Karl Kraus. Manolo Blahnik crea le scarpe più belle del mondo e così possiede tutte le donne che vuole, comprese quelle difficili da conquistare. Una per tutte? Diane Vreeland, la grande direttrice di Vogue America cui inviava lo stesso modello di pump in tutti i colori, anche se lei negli ultimi tempi della sua vita aveva perso la vista. Ora Manolo inaugura il primo negozio in Italia, a Milano e con un ottimo italiano racconta la storia di un uomo felice di stare ai piedi delle donne.
Manolo Blahnik. Come mai ha un nome spagnolo e un cognome mitteleuropeo?
"Mio padre veniva dalla Cecoslovacchia e mia madre dalle isole Canarie. Si sono conosciuti perché lui negli anni Trenta ha fatto un viaggio in nave da Amburgo al Brasile. Durante la tappa a Santa Cruz de La Palma ha visto una bellissima ragazza affacciata alla finestra. Se n'è innamorato subito. Ha dovuto aspettare un anno e prendere un'altra nave per rivederla ma sempre da lontano. Si è perfino arrampicato su un camion per riuscire ad avvicinarsi di più ed è anche caduto in malo modo. Alla fine, è intervenuto mio nonno farmacista che tra l'altro aveva una piccola azienda di profumi. Ha presentato le credenziali della famiglia al consolato ceco di Madrid e finalmente i miei si sono incontrati e sposati. Io sono nato nel 1942, nove anni dopo il matrimonio. Poi è arrivata mia sorella: si vede che loro due volevano stare finalmente soli per un po'".
Quando ha scoperto la passione per le scarpe?
"Credo sia nata con me, una cosa che mi ha trasmesso la mamma. Durante la guerra è andata da Don Cristiano, il ciabattino più famoso dell'isola e ha imparato a farsi le scarpe da sola: non ne poteva più di zoccoli e stivali".
È vero che a lei invece non piacciono le sneaker?
"Le trovo orribili. Amo tutte le scarpe del mondo tranne queste e le Star Rite, ovvero le scarpe da bambino che la mamma ordinava per me e mia sorella da Harrod's. Visto che crescevamo in fretta erano minimo di due misure in più: avevo sempre mal di piedi".
Così ha deciso di diventare un poeta delle scarpe.
"Direi più il pazzo delle scarpe. Quando mi han mandato a studiare in Svizzera passavo i pomeriggi nei grandi magazzini Bongenie di Ginevra ad ammirare il reparto calzature. Sapevo tutto di Charles Jourdan e di Ferragamo, erano i miei miti. Poi ho scoperto il più grande di tutti: André Perugia".
Ma non è lei il più grande?
"Lui ha inventato tutto da solo, io sono uno che ha avuto la fortuna d'incontrare gente speciale come Ossie Clarck e Zandra Rhodes, gli unici due per cui ho fatto un tacco largo. Poi ho conosciuto Elio Fiorucci che mi ha fatto fare delle scarpe animalier e infine sono sbarcato in America con designer come Bill Blass, Halston e Isaac Mizrahi ma soprattutto con i grandi department store tipo Bloomingdale's e Neiman Marcus. Lì, durante un trunk show, una signora mi chiese di firmarle un paio di scarpe. Dopo due ore, la rividi in coda. Pensai che fosse tornata per fare un altro acquisto e invece voleva mostrarmi il tatuaggio che si era fatto fare sulla gamba con la mia firma".
Non a caso in Sex and the City, Big chiede la mano di Carrie con un paio di Manolo's...
"Adoro quella scena. Le scarpe sono il modello Hangisi per cui ci vogliono almeno 64 passaggi a mano. Stanno bene a tutte le donne proprio come un uomo innamorato. Le faccio da 35 anni in una fabbrica di Vigevano che adesso ho rilevato: solo in Italia puoi trovare manifatture così straordinarie".
D'accordo, ma le sue scarpe entrano spesso nella leggenda. Si è mai chiesto perché?
"Penso dipenda dalle storie che mi racconto per mettermi a lavorare. Una volta in Egitto ho incontrato una donna bellissima in abiti occidentali. Il giorno dopo l'ho rivista con il velo e l'abaya della tradizione mussulmana. Era ugualmente chic ma con un'allure tutto diverso. Mi è venuta l'idea di fare una scarpa totalmente ambivalente. Piace a tutti, specie in Qatar".
Anche quando lavora con gli stilisti lei racconta delle storie?
"Dovrebbero raccontarmele loro ma non sempre succede. John Galliano ai tempi di Dior era incredibile. Mi telefonava per dirmi di pensare a una principessa russa che scappa dai bolscevichi e attraversa l'Europa per arrivare in Scozia con due sterline in tasca. Come la vestiresti?, chiedeva. E io: Con il drindl da kellerina in Germania e un lungo kilt nelle Highlands scozzesi. Chiudeva la telefonata dicendomi di fare le scarpe che ai vestiti avrebbe pensato lui".
Ha fatto le scarpe per il film su Maria Antonietta di Sofia Coppola e adesso è uno degli sponsor della
mostra al Victoria & Albert Museum di Londra. Le piace il personaggio della regina frivola e spendacciona?"Per me tutte le donne sono delle regine e se non fossero a volte frivole e spendaccione io non esisterei".