Roma - Stefano Parisi, dalla trattativa per includere il suo movimento, Energie per l'Italia, nella coalizione di centrodestra per le politiche, alla candidatura a presidente della regione Lazio. Come è avvenuto questo passaggio?
«Domenica ho saputo che il centrodestra non avrebbe accettato le nostre liste dentro la coalizione per motivi devo dire abbastanza incomprensibile. Poi mi hanno chiamato Meloni e Tajani per propormi la candidatura alle Regionali. Pur sapendo che si tratta di una sfida difficile ho pensato sia più giusto cercare di fare vincere il centrodestra nel Lazio che farlo perdere in tutta Italia».
Epi cessa di esistere?
«Al contrario, questo è un passo in avanti. Energie per l'Italia esiste, è un partito politico organizzato su tutto il territorio nazionale e continuerà a portare un contributo di idee e persone al centrodestra. Ma si misurerà anche con il consenso e il governo. Continueremo a lavorare per essere presenti in tutte le elezioni, locali ed europee».
Non teme che nel Lazio lei sia considerato un corpo estraneo?
«Io sono romano, nato a Roma da famiglia romana. Nel '97 Albertini mi chiamò per fare il city manager di Milano. Ho fatto una lunga esperienza nell'amministrazione centrale a Roma e ho lavorato a Milano nel settore privato. Il Lazio ha bisogno di serietà e competenza e io sono felice di mettere al servizio della mia regione la mia competenza manageriale. Costruiremo una squadra che cambierà le sorti del Lazio».
Le sembra recuperabile la situazione del Lazio e di Roma?
«È una regione messa male, basta vedere la situazione della sanità, dei trasporti e soprattutto la pressione fiscale. Stretta in una morsa tra l'incompetenza della Raggi e l'immobilismo chiacchierone di Zingaretti. Il risultato è un'amministrazione che non investe, che non sa gestire i rifiuti e con una sanità da terzo mondo. E, come se non bastasse, con la più alta pressione fiscale del Paese».
Quali soluzioni propone?
«Il Lazio è una regione a vocazione turistica e agroalimentare e deve trovare in questi settori la chiave per rilanciare il suo sviluppo. Bisogna investire in infrastrutture, nel ciclo di rifiuti. È una regione seduta per colpa di due forze politiche immobiliste, il Pd e il M5S, che non vogliono fare nulla. Il centrodestra unito è in grado di fare tornare il Lazio centrale nel nostro Paese».
Pensa di tagliare le addizionali e le tasse regionali?
«Bisogna dare subito dei segnali sul fisco, compatibilmente con la situazione di una regione che è vicina al dissesto. Il risanamento fatto da Zingaretti non può funzionare. È basato su tagli alla sanità, con diecimila addetti in meno tra medici e infermieri, e aumenti delle tasse. Per rilanciare la regione serve una logica opposta, rilanciare gli investimenti, l'edilizia, togliere di mezzo la burocrazia».
Che impressione le fa Roma?
«In questi ultimi dodici mesi c'è stata una fuga di aziende e io capisco le ragioni. Dobbiamo fare ritornare Roma attrattiva per i capitali privati, deve essere una città europea. Non serve lagnare ma lavorare per farla tornare grande».
Da governatore del Lazio come imposterebbe i rapporti con la sindaca di Roma Virginia Raggi?
«La vittoria del centrodestra nel Lazio sarà un avviso di sfratto per i Cinque stelle a Roma. Il centrodestra deve tornare prima al governo nella regione e poi a quello della città, prendere in mano la gestione della regione e dimostrare di essere capace di risolvere problemi, senza fare sconti al Campidoglio, bloccato dalla propaganda dei Cinque stelle. Costringeremo Raggi a governare».
Governo nazionale permettendo.
«È molto importante, per il Paese e per il Lazio, che anche a Palazzo Chigi ci sia un governo di centrodestra. E questo è un messaggio importante da dare agli elettori del Lazio».
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